Impressioni di Milano, oggi: Piazza Duomo, il Castello Sforzesco, il Pirellone, Piazza Della Scala, San Siro, il Palazzo della Borsa, la Stazione Centrale, l'Idroscalo. Impressioni di Milano, ieri: il fumo, la polvere, le fabbriche, gli operai, i portinai, la musica. Decidete voi se era meglio ieri o è meglio oggi.   
Intanto il tempo passa, le mode cambiano, le persone anche. I ragazzotti oggi vanno alle Messaggerie Musicali e spendono i soldi di papà e mammà sbavando sui successi, o presunti tali, di James Duncan e Justine Timberlake. Si abbuffano di grassi e sostanze non meglio identificate nei Mac Donald's e credono che la vita sia solo divertirsi, uscire con gli amici, fare tardi il sabato sera. Le mode cambiano, e sono sempre più vuote, sia di significato sia di contenuti.
Milano, nel 1975, era un miscuglio, non meglio identificato, di passato e presente, qualcosa già si stava muovendo, ma ancora avevamo spazio per crescere e sognare. Prima del 1975 vado a ricordi scolastici, perchè ancora mancavo su questa Terra: l'Alfa Romeo nell'area del Portello dove Visconti girò "Rocco e i suoi fratelli", il Sud incontrava il Nord e i cortili erano pieni di ragazzini in braghe corte e pallone rattoppato. Si iniziava a lavorare presto (troppo presto) tra fabbriche e fumi nocivi, ma si stringevano rapporti di profonda amicizia tra colleghi e capetti (i capi, quelli veri, si facevano desiderare, e a dire il vero, nessuno li desiderava più di tanto). Sembra un secolo fa, sono passati solo 40 anni.
Anni magici, forse non splendidi, ma sicuramente magici. C'era il cabaret, non le discoteche, per chi voleva svagarsi la sera. Il cabaret, quello semi-clandestino con la c maiuscola, quello vero, quello sanguigno, non quello finto e riciclato che oggi chiamano "Zelig". Il cabaret fatto da professionisti, che poi non erano professionisti, però era come se lo fossero. Ogni sera, spettacoli e follie: vedevi Gaber, Jannacci, Celentano, Teocoli che suonava nei Quelli, tutti fotografati un secondo prima di diventare famosi. Istantanee di un tempo che oggi, i nostri padri, rivendicano come loro. E non mi sento di dargli torto.
C'erano anche I Gufi: meravigliosi, eclettici, milanesi. Cabaret e musica, satira e ironia: il loro leader era il grande Nanni Svampa. Chi è milanese lo conosce. Chi è milanese stagionato lo ama. Chi è milanese giovane forse nemmeno sa chi è. Chi è milanese nè stagionato nè giovane potrebbe averne sentito parlare. Grande Nanni, campione di simpatia e spontaneità. Uno che le cose te le diceva in faccia, pane al pane e vino al vino. Miracoloso, e meticoloso, nel cesellare umori e vizi della società milanese più povera, capace, con poche parole, di farti sorridere anche se non c'era niente di divertente.
Pochi dischi in carriera, soprattutto antologie. Ma qui si sta parlando di teatro regionale, non di gruppi stranieri, per cui il termine 'antologia' mi fa difetto. Diciamo, una sorta di summa professionale. Il più bello è senz'altro "All'osteria", uscito nel 1978, comperato, di recente, dal sottoscritto. Esaltante e magniloquente, eppure non ci sono nè effetti speciali e nemmeno strumenti ambiziosi, anzi, a ben vedere le musiche sono quasi tutte uguali e l'unico strumento presente è la chitarra (salvo qualche rarissima eccezione). Già, la chitarra: queste sono poesie, non hanno bisogno di strumenti musicali, se non della chitarra, lo strumento più popolare in Italia, l'unico che non può mai mancare in un disco. E' semplice, ma è la semplicità l'arma (a salve) che possiede Nanni Svampa.
Ci si perde in un pianeta sconosciuto, in un tempo che non c'è più, tra le storie di un epoca che ha fatto epoca: dalla voce di Svampa traspare l'antico profumo della genuinità, ed è un sapore che sa di vita e voglia di combattere. Con qualche punta di trasgressione. Come la storia di Giovanni detto il Coppi, "per quel vizi che a vottant'ann el g'ha de corregh adree ai tosann", e si caccia sempre nei guai, fino a che, per fatale errore, muore, ". . . la salma l'han composta in via Luigi Mangiagalli, l'han miss fina sul giurnal quanti donn al funeral". O ancora la storia di Peppe, un marito a cui piaceva alzare il gomito di tanto in tanto, pur non avendo nemmeno uno spicciolo in tasca ed essendo la moglie assolutamente contraria a questo suo vizietto: "Così pian pian, così bell bell, mi voo in cusina e me tacchi al sidell, la mia miée, sta brutta barbona, bev chela lì - la me dis - che l'è bonna". Ma si potrebbero citare altri mille ritratti tipici della Milano di quegli anni, il ritrattino più divertente è forse quello (non volgare, sia detto subito) dedicato alle puttane, a dire il vero un pò malconcie: "Slonghi la man per toccà la foinera, ohèj porco can la trà giò la dentera, slonghi la man per avègh on sostegn, la ghe se disvida la gamba de legn". Infine un classico, "La mensa collettiva": "Alla Mensa collettiva i và i sbarbà de la via Arena, ci và anca il sciur Giacobbe con la sciura Maddalena".  
Grande Nanni Svampa, capace di farci sorridere mettendo in poesia e ironia le nostre piccole debolezze, un Trilussa del Nord che le scriveva ma poi anche le cantava. Coraggioso, oltre tutto, perchè ebbe l'ardire di tradurre alcuni brani francesi di Brassens, molti anni prima di Fabrizio De André (diamo dunque i giusti meriti: De André, in questo caso, ha rubacchiato un pochino da Svampa), e, ad esempio, la celebre "Il Gorilla" di deandreiana memoria venne cantata da Svampa col titolo di "El Gorilla". Esemplare nel suo essere semplicemente fuori dalle mode, avanguardista nato, non avrebbe potuto fare nessun altro mestiere, con quel talento, con quella faccia, ve lo vedete vestito da imbianchino? Difficile eh?
Le impressioni di Milano fanno sul serio impressione. C'è il rischio di innamorarsene. E di restarne stregati. Con molto stupore, e con una certezza: ieri era meglio di oggi.

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