Non è semplice, so che potrebbe esser un paradosso, ma scrivere una recensione su un gruppo come i Napalm Death non è che sia un'impresa titanica, ma tutto sommato ha la sua dose di difficoltà. Semplicemente perché questi, oramai, signori dal 1987 e da quel seminale "Scum" sono stati una macchina infernale che non conosce freni. Con lo sguardo fisso sull'orizzonte di una carriera che si sta per fare quasi trentennale, i ragazzi di Meriden non hanno mai fatto quel lavoro che si può definire brutto, passo falso, spento, insulto che preferite. Magari qualcosa sottotono, ci mancherebbe altro, un calo direi che glielo si può concedere lungo la spina dorsale di una discografia fatta di ben pochi compromessi, ma arrivare a confezionare nel 2015 un lavoro come "Apex Predator - Easy Meat" che restituisce Shane, Mark, Mitch e Danny con quella grazia tipica di una molotov incendiaria lanciata su una miccia esplosiva in uno stato di salute invidiabile merita solo i doverosi apprezzamenti. Chiariamo subito, così non ci torniamo sopra più avanti: non c'è "innovazione". La strada intrapresa da un bel po' di anni dai nostri e di cui "Utilitarian" rappresentava l'ultima espressione continua imperterrita, si affina, se così si vuol dire. Quindi il nucleo esplosivo in cui le fondamenta son sorrette da hardcore punk, grind e death più classico, ricevono contaminazioni talvolta noise, cantilene sbilenche e...vabbé, son stufo: annichilimento sonoro disorientante. Ecco, tre parole che valgono più di mille classificazioni.

La genesi di "Apex Predator - Easy Meat" è da ricercare nel Bangladesh, a Dacca. Ebbene sì. Se c'è una cosa di cui i Napalm Death si son sempre fatti alfieri al di là dell'aspetto prettamente musicale, è un certo interessamento alla società contemporanea. Testi intrisi di protesta, piuttosto che di denuncia o growl dilanianti con riferimenti sulla civiltà moderna. Insomma, lontani da quell'immaginario gore-grind, a loro modo son sempre stati uno spartiacque nel rappresentare certe dimensioni dai tratti sociologici nelle urla marziali di Barney. Certo, non ci trovate una dissertazione di Erving Goffman, o forse sì, non so, dopo quindici dischi penso che mi si possa perdonare se ho qualche vuoto di memoria, ma l'attitudine dei Napalm Death è lì. Innegabile. Torniamo per l'appunto al Bangladesh e all'aprile del 2013 quando il Rana Plaza va giù. Cedimento strutturale, boom. Cade tutto. Un complesso fatto di appartamenti, negozi, fabbrica tessile. Ecco, proprio i lavoratori di quest'ultima nonostante gli avvisi di crepe nell'edificio furono obbligati a tornar a lavorare nei giorni successivi. E il 24 aprile, 8 del mattino succede il finimondo. Alla fine ci saranno 1129 morti. Più di 2500 feriti. Una tragedia colossale. Ne avevate sentito parlare? Se sì, ben per voi. Quello che hanno pensato Shane Embury e Mark Greenway invece è veder il ruolo dei mass media e di come questi l'avessero trattata alla stregua di una notizia usa e getta, facendo poco chiarezza, trattando le vittime come un mero dato statistico. Da qui, raccontano i nostri, nasce lo spunto per "Apex Predator - Easy Meat". Sul come esista ancora un mondo nascosto, fatto di schiavitù e prigionie che vadano ben oltre le sole coercizioni fisiche. Il focus d'ispirazione si spinge verso le aree più povere del pianeta, in una dicotomia incessante fra classi sociali. Dove la noncuranza sull'essere umano in quanto tale, senza conceder alcuna dignità sia ancora consuetudine diffusa. Schiavi in una catena più grande, dove in cima beh, c'è per l'appunto l'Apex Predator, il non plus ultra dei predatori. Tutto questo per dirvi: concentrate queste tematiche con la rabbia irrefrenabile e atroce dei Napalm Death e avrete il riassunto perfetto di questo full length.

Dietro alla mole di carne da maciullare si nasconde un meccanismo costituito da un comparto ritmico così solido, da non sorprendere nemmeno. È la carta vincente degli inglesi da secoli e lo si conferma pure qui dentro. Assalti allucinati in cui il respiro è affannoso, reso difficile dall'impenetrabilità coesa dell'attacco feroce di blast beat e riff che creano scenari dove la tensione si taglia con facilità estrema. I nostri si spingono sempre oltre, buttando giù un muro di disperazione che lascia interdetti sulle proprie ginocchia. Una sofferenza senza tempo, continua, ciclica che si ripropone con la giusta ispirazione, tagliente e in cui episodi come Hierarchies ripropongono la chiave di lettura "moderna" dei Napalm Death. È un ritorno tuonante, capace di saper creare per l'ennesima volta quell'ambiente malsano e arido d'emozioni che contraddistingue quell'anima grind impazzita buttata fuori con furia cieca e killer. È un lavoro che non aggiunge nulla alla loro discografia? Forse, ma la freschezza con cui si rigenerano i solchi tracciati dai Napalm Death stessi un trentennio fa è solo da lodare e in questo "Apex Predator - Easy Meat" colpisce il bersaglio. Ancora una volta.


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