Si dice che con il passare del tempo i gusti musicali delle persone si facciano via via sempre più soft e che crescendo siamo portati ad abbandonare gradualmente la musica estrema, ripiegando su qualcosa di più melodico. Invece ascoltando questo nuovo album, si evince che gli inglesi sono rimasti, attitudinalmente parlando, i ragazzi tempestivi col mondo di vent'anni addietro.

Considerati come pionieri imperterriti del lato terroristico del metal, gli inglesi di Birmingham tornano oggi con "Time Waits For No Slaves", nuovo album in studio che li riafferma come inarrestabile carro armato da guerra. E' anche vero che il sound attuale degli ultimi full-lenght si discosta notevolmente dalle brutalissime schegge di opere basilari quali “Scum” e “From Enslavement To Obliteration” che sono state rimpiazzate da un suono più vicino ad un thrash-death metal. "Time Waits For No Slave’ è il full lenght numero 13 della band di Birmingham e prosegue il discorso musicale intrapreso nel 2000 col furioso ‘Enemy Of The Music Business’ e con i lodevoli tre lavori successivi ad esso. Tuttavia, come nei due album precedenti, si ravvisa un senso melodico appetibile anche per coloro che non apprezzano il genere preso in considerazione.

Descrivendo le prime tre tracce del full-lenght, "Strongarm", "Diktat" e "Work To Rule", si avverte una furia senza sosta, un'indole iconoclasta e genuinamente devastante che si scaglia con una potenza a dir poco assordante nei timpani dell'impavido ascoltatore. Strutturalmente, considero queste prime tre songs come le più tecniche e veloci dell'album in questione, con delle soluzioni geniali di chitarra, specialmente nella seconda metà della terza. Forse la furia si calma leggermente con "On The Brink Of Extinction" per ritornare forte con la title-track, una vera e propria ginocchiata sullo stomaco. Nelle tracce successive alla title-track, osserviamo i "ragazzi" di Birmingham ancora concentrati sulla velocità e sulla precisione del riffing e della sezione ritmica, soprattutto andando ad analizzare songs quali “Life and Limb”, “Fallacy Domion” e “Downbeat Clique”. La parte conclusiva, a sua volta, offre in momenti quali “Passive Tense”, nell’epica “Procrastination on the Empty Vessel” e in “Feeling Redundant” un'aggiuntiva decelerazione delle strutture che non sempre riesce, tuttavia, a convincere l'ascoltatore, perdendo in trazione nel finale.

Nonostante quest'ultimo lavoro si rivela essere di grande spessore tecnico e lirico che in qualche modo ricompensa la tenacia dei Napalm Death, siamo di fronte ad un prodotto che non riesce più nell'obiettivo di preservare intatta l’originaria carica underground del grindcore. Secondo il mio giudizio, il lavoro è qualitativamente inferiore rispetto al micidiale "Smear Campaign", mantenendosi su un livello pressocchè sufficiente. Volendo comunque essere ottimisti, credo che per la band inglese, ultimato questo lavoro, alcune strade potrebbero condurla ad una nuova giovinezza.

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