Morire a 30 anni non è da tutti. Tanto è durata la vita di Mieszko Talarczyk, stroncato nel Dicembre 2004 dalle onde assassine di una tragedia che ormai tutti conosciamo. Una vita breve e intensa, come le canzoni della sua band. Brevi, intense. Nulla più, e tanto bastava. E insieme a lui sono morti i Nasum, quelli veri. Ormai sarebbe inutile per me attendere un nuovo album di uno dei gruppi più promettenti in assoluto della scena grindcore (ammesso che non si sciolgano) se so già in partenza che non ci sarà lui a imbracciare la sua chitarra per suonare le sue canzoni.
Così non posso far altro che buttarmi sul passato; dopo aver ascoltato "Helvete" e "Shift" fino allo spasmo, quasi a rendergli omaggio, non posso fare a meno di recensire "Inhale/Exhale", donatomi da due cari amici per i miei 19 anni. Il primo, grandioso album. Questo, con il successivo "Human 2.0", è il disco della pre-maturità. Il capolavoro doveva ancora arrivare, è vero, ma quando i Nasum non avevano ancora una line up che fosse completa e stabile, ed erano formati dalle due menti compositrici Mieszko Talarczyk e Anders Jakobson, il batterista dalle braccia di ferro, viene alla luce un lavoro che è la premessa fondamentale per il nuovo grindcore, che viene a salvare uno dei generi musicali più estremi e veloci che sembrava sepolto dalle macerie nel ricordo degli ascoltatori. Ed i Nasum donano tutto, donano loro stessi agli ascoltatori. E' indubbiamente questo il loro disco più estremo, dove la velocità è tutto, dove in soli 45 minuti di musica vengono concentrate 38 (!), dico 38, e ribadisco "38" canzoni che superano raramente il minuto e mezzo. E' come una dichiarazione di loro stessi, basta poco, poche parole, anche in svedese, vomitate nelle menti di chi ascolta, il loro pensiero, la loro denuncia.
Una band impegnata, certo, ma non solo politicamente. Così i temi spaziano, dall'ipocrisia umana ("I See Lies") all'amara delusione ("Disappointed"), dalla stagnazione della realtà ("No Sign Of Improvement") all'illusione che rende ciechi ("The Masked Face"), dal grigiore dell'esistenza ("Grey") al fallimento del sistema ("The System Has Failed Again"), dal potere spregiudicato della scienza ("When Science Fails") alla precarietà della vita umana ("Inhale/Exhale"). Fino alla conclusiva "Can De Lach", la più lunga dell'album (3 minuti) dove il ruggito delle chitarre sembra perdersi in un'atmosfera stordente. Parole raccontate su un tappeto di batteria macinante e chitarre assassine, brevi e concise, dritte al punto, sincere, senza fronzoli, senza ipocrisia. Riff micidiali, sputati via, lanciati come schegge infernali.
Non si tratta di grindcore comune: si tratta di costruzione sonora accurata e ragionata, di struttura chitarristica precisa come le mani di un chirurgo, musica pensata prima e suonata dopo, persa in un caos che è lo stesso della vita. Sarebbero diventati (o già lo sono) i più grandi eredi dei Napalm Death, è indiscutibile. E a risentire quest'album, proprio quest'album, sembra destino che Mieszko dovesse morire a quest'età. Breve, intensa. Vivrai per sempre nei cuori di chi ha amato la tua musica, le tue canzoni. Hai fatto la fine che spetta ai grandi, Mieszko, che spettò a Chuck, a Quorthon, a Kurt. Riposa, adesso.
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