Il suono della globalizzazione porta, tra gli altri, il nome di Natacha Atlas, cantante proveniente da Bruxelles ma con un curioso miscuglio di sangue nelle vene: quello arabo del padre e quello britannico della madre. L'incrocio di terre e culture diverse tra loro è inscritto indelebilmente nella musica di questa vocalist a metà strada tra il cuore dell'Europa unita e il Maghreb: e "Diaspora", suo primo album solista, uscito nel 1995, ne è una chiara testimonianza.

Album solista, si è detto, visto che la Atlas era stata in origine la voce dei Transglobal Underground, gruppo inglese la cui mission era fin troppo chiara a partire dal nome che si erano scelti. Con questo lavoro, la Atlas va alla ricerca invece di un tono più personale, ispirato in larga misura dalle sue radici mediorientali. Così canta in arabo nelle tracce di quest'album, e la sua è una vocalità ricca ed espressiva, proprio come la tavolozza delle sonorità che via via si incontrano.

Quelle prodotte dagli strumenti tradizionali della cultura araba e nordafricana, come l'oud (una sorta di liuto), e in particolare dalle percussioni (il riq, un tamburello, la tarabukka, quel tamburo a forma di calice, o le tabla indiane) che danno spessore al variegato tessuto musicale. Una ventina di musicisti collaborano all'album e non mancano certo gli strumenti occidentali. La voce di Natacha Atlas è tersa, cristallina, e il suo fraseggiare arabeggiante, ricco di cromatismi, arriva comunque alla sensibilità del tutto diversa di noi ascoltatori europei.

Lavoro costituito da nove lunghi brani (durata media 5-6 minuti) più tre mix, per una durata di 72 minuti, "Diaspora" è un viaggio affascinante nelle sonorità di una tradizione musicale antica e suggestiva, quella araba, che si confronta con il linguaggio per certi aspetti più freddo e omologante dell'elettronica europea e delle sue diverse ramificazioni stilistiche, per esempio il dub.

Musica in cui convivono più anime, testimonia la dispersione dei linguaggi e da quella diaspora trae paradossalmente la propria ragione d'essere.

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