Terza e modernamente terzomondista opera da solista per la straordinaria voce euro-mediorientale Atlas-esca, “Gedida” [ri-registrato e ri-pubblicato (causa taluni errori in lingua araba che ne hanno causato la censura...) per il solo mercato “arabeggiante” con il differente titolo “ Guzouri”] rappresenta, nella più che significativa parabola artistica della “Nostra” vocalista un compiuto, notevole lavoro di sintesi/melting-pot acustico tra “radicalità” e moduli espressivi e musicali (solo apparentemente) differenti ed in antitesi.

Nata, non solo artisticamente, nel cuore della vecchia Europa da genitori meticci (padre egiziano, madre belga) indi frutto del notevole crocicchio di mescolate attitudini/culture e grazie anche ai trascorsi artistici in seno alla danzereccia Trans Globalica integerrima creatura, (“Aqaba” , in questo senso, risulta paradigmatica) foriera di un approccio trans-territoriale eticamente e musicalmente significativo. Una davvero credibile sonica ibridità (Islam Pop è stata creativamente definita) strutturata su teorema di base decisamente up to date (1998, l’ anno di pubblicazione) contemplante in sé una tavolozza acustica felicemente multicromata, ricca und “speziatissima” (come anche nella migliore tradizione culinaria araba et dintorni). Un meticciato musicale (e culturale) posto intelligentemente in risalto quale benefico plusvalore e non come sterile riciclo/riproposizione di consunti standards, comprendente e abilmente compenetrante strumenti e strutture armoniche “occidentali” (mi si passi la imperdonabile forzatura), composta dai “classici” campionatori, keyboards analogiche e digitali, viole, celli, violini, percussioni digitali e peculiari intriganti suoni prodotti da “ attrezzi-musicali” percussivi e non, di riconoscibile/abituale utlilizzo non segnatamente mittle-europei (ud, tablah, magrouna, riqq, bendir, bouzouqi, nay, accordeon e chi più ne ha, ne utilizzi) indi una pressochè perfetta, spettacolarmente inerpicante calda vocalità, immensamente interpretativa e compiuta sintesi di tale siderale, audio-trasversalità.

“Mon Amie La Rose” (efficace rilettura del brano originariamente interpretato da Francoise Hardy tre decadi or sono) apre promiscuamente, è il caso di dirlo, le piacevoli rituali danze con tono degno e dignitosamente omaggiante: sommessa e confidenziale indi particolarmente evocativa. Seppur l’ audio-materia propugnata sia all’ insegna del moderno-melting pot più sfrontato e “sanguemisto” , riterrei (de gustibus) abbiano un significativo plusvalore gli audio-tasselli a tasso percentualmente più elevato di colore/sapore (semi)esclusivamente orientaleggiante: la ecological-junglistica, indiavolata e forsennata “Mahlabeya” , la suggestiva/danzereccia “Mistaneek” o ancora la integralmente tribalista, (che meraviglia sentire l’ umano-accompagnatorio, suono prodotto dalle plaudenti mani. . ) cordisticamente-stratificata “Ezzay” .

Ultima nota: l’intero lavoro, tranne sporadiche eccezioni, è decantato integralmente in idioma arabo: un linguaggio altamente musicale ed espressivo che in questo contesto detta “mirabilmente-bene” tempi e acustici-ritmi: Mademoiselle Natacha trascina letteralmente per senso del ritmo e per forsennata sonica culturalmente-avvicinante intellighenzia. Decisamente assai meglio (e più fruibile) di un qualsiasi moderno corposo e/o voluminoso trattato di antropologia musical/culturale.

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