L'album che mi accingo a recensire è a mio avviso uno dei migliori lavori brutal death metal prodotti da una band italiana. 'Bedtime For Mercy' (uscito nel 2000) regge senza ombra di dubbio il confronto con lavori di band più blasonate e in alcuni casi ne esce addirittura vincente. Il disco in questione è il terzo full lenght dei Natron, il secondo uscito per Holy Records e come il precedente platter, gode di un'ottima produzione a cura di Tommy Tagtgren, fratello del più noto Peter (Hypocrisy, Pain), degli Abyss Studios.

Ciò che rende l'album meritevole di attenzione è un equilibrio compositivo non comune e una grande personalità con la quale i nostri "rivisitano" in chiave moderna il brutal death tecnico di stampo americano arricchito di elementi tipicamente "voivodiani". Le nove tracce (di cui una è una cover dei Voivod) che compongono il platter alternano un riffing frenetico, ad opera di un ispirato e preciso Domenico Mele, ricco di dissonanze, parti dispari e sincopate (non si scade mai nell'esagerazione e nell'esibizionismo fine a se stesso), a "morbide" digressioni armoniche dal sapore voivod spesso eseguite su robusti pattern ritmici, che non hanno il ruolo di alienare l'ascoltatore, piuttosto quello di stordirlo per poi tornare a massacrarlo senza tregua. Gli ottimi assoli sottolineano il sound deviato dei riff ma trovano meno spazio che in passato, non inficiando assolutamente il risultato dell'album.

Il Drumming di Max Marzocca è fantasioso e molto tecnico (qui meglio evidenziato dalla produzione, a confronto del precedente "Negative Prevails"), un susseguirsi continuo di pattern diversi, dove i possenti blast beats risultano ancora più efficaci proprio per la varietà dell'approccio ai pezzi. Il tutto è sostenuto dal basso corposo dell'ottimo Lorenzo Signorile, bravo nell'arricchire il riffing di Mele con precisi e virtuosi fraseggi.

A completare l'opera la prova maiuscola di Mike Tarantino, il suo growl è potentissimo, 'grasso' e soprattutto duttile sia nella modulazione del tono che nella metrica con la quale incastra alla perfezione i testi alla parte strumentale. Le liriche come da tradizione sono violente e sanguinose, a sottolineare al meglio la negatività e la perversione dell'essere umano e del mondo che lo circonda.

In breve, i brani sono riconoscibili e pur essendo articolati riescono a colpire e a risultare trascinanti già ai primi ascolti, merito della maturità e di quell'equilibrio a cui facevo riferimento in apertura. Da segnalare la riuscitissima cover di "Nothinface" dei Voivod (tratta dall'omonimo capolavoro dell'89), che ben si lega al resto dell'album, a tesimonianza del fatto che il suono dei Natron deve molto alla band canadese. In conclusione mi sento di consigliare caldamente l'ascolto di quest'album il quale reputo il punto più alto toccato dai baresi fino ad ora, e che ha il solo difetto di essere capolavoro di una band italiana.

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