Il secondo disco di carriera presenta i Nazareth nella stessa fase che aveva caratterizzato l’esordio. Ovvero, non hanno ancora ben deciso che musica fare da grandi e spaziano da destra a sinistra, da genere a genere provandole tutte e risultando così accoglientemente vari, ma anche irrisolti.
Non per niente l’album esordisce con la grande orchestra la quale, insieme alla sola chitarra acustica, accompagna il cantante in una quasi ballata a titolo “Will Not Be Led” ed è straniante il salto di genere, di atmosfera, di stile di canto che si realizza fra quest’incipit e la successiva “Cat’s Eye, Apple Pie”, quest’ultima un country blues acustico mezzo strascicato e mezzo tardi Beatles, con armonica a bocca e slide, all’americana.
Il lavoro non decolla (dal punto di vista dei rocchettari in generale e della generale percezione/ricordo che i Nazareth suscitano in chi li ha frequentati) neanche col terzo contributo “In My Time”, un folk molto britannico in tre quarti e cantato in coro, ma finalmente il nocciolo duro del quartetto emerge con l’aspra “Woke Up This Morning”: il titolo è inflazionato, la sostanza è un rock blues ipnotico, il quale verrà ripreso in una versione più pregnante sul loro successivo e più fortunato album “Razamanaz”.
Scorrendo la scaletta, invero avara di rock tosto come mai più succederà, in queste proporzioni, nella copiosa produzione del gruppo, la successiva segnalazione va verso “Madeline”, ennesimo episodio lento, anzi lentissimo e pure suonato con relativa precisione (il basso, veramente dilettantesco), però condito di interessanti armonizzazioni di chitarra, vagamente pinkfloydiane, da parte del non ancora baffuto Manny Charlton. La successiva, orchestrosa “Sad Song”, non si può peraltro sentire… È triste ancor più del titolo, la melodia non vale nulla ma, soprattutto, Dan McCafferty non ha proprio lo stile vocale, lo spirito, la tecnica, l’abitudine per simili smancerie.
La migliore del lotto finisce per essere l’ultima “1692 (Glencoe Massacre)”, recupero di un tragico episodio storico della Scozia del diciassettesimo secolo. I Nazareth sono di Dunfermline, non lontana da Edimburgo una volta passato il ponte sul Firth of Forth, e quindi ci sta. L’episodio si sviluppa sul ritmo cadenzato e ipnotico di una banda d’esercito in movimento, e risulta assai suggestivo.
È il peggior disco di carriera questo “Exercises”, Esercizi: proprio quelli di un gruppo che ancora non aveva trovato, se non la sua originalità, almeno la sua specificità. Essa si paleserà alfine col terzo disco “Razamanaz”, ma io salterò direttamente al settimo “Close Enough for Rock’nRoll” poiché quelli in mezzo sono tutti già recensiti. Au revoir.
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