L’undicesimo album del voluminoso catalogo Nazareth è anche il primo degli anni ottanta. La NWBHM, New Wave of British Heavy Metal, è ancora in fasce… l’unica direzione consentita per tutti è, al tempo, quella di orientarsi in direzione commerciale e nel contempo di fare almeno un po’ di posto al sintetizzatore, strumento molto lontano dalle corde dei quattro rocchettari scozzesi, ma in quegli anni vero prezzemolo obbligatorio ad ogni ricetta musicale.
I Nazareth vi si adeguano approfittando del fatto che, da anno ed album precedenti, s’erano allargati a quintetto accogliendo un secondo chitarrista, tale Zal Cleminson capace di posare le mani anche sui tasti bianconeri di quelle macchine allora tanto di moda. Zal non è l’ultimo arrivato… anni ed anni a calcare palchi con la Alex Harvey Band, pittato in faccia più di un pagliaccio e con delle mise a rigoni ad evidenziare il suo corpo longilineo ed atletico: era da vedere quello spettacolo, al tempo… peccato non averne avuto occasione. Coi Nazareth niente di tutto questo, Zal suona con loro vestito normalmente. Però è il compositore principale di quest’album, ed appunto si prende la responsabilità di rivestire di edonistici spernacchiamenti di synth (qua e là, poco per fortuna) l’hard rock della banda.
Ma qui non ce n’è poi molto, di hard rock… il disco è fra i loro più tranquilli. Contribuisce a questo fatto il produttore scelto, quel Jeff Baxter ex Steely Dan ed ex Doobie Brothers che certo passa per un chitarrista della madonna, ma di sicuro non per metallaro.
Selezionando le cose più riuscite, ecco subito “Holiday”, un rock’n’roll atto a rompere il ghiaccio. Si sente subito il lavoro di cesello del produttore sulla musica del gruppo, storicamente tendente invece ad andare per le spicce. Molta maggior cura nei cori ad esempio, e ritornello in stile… Def Leppard (che a quel tempo ancora non avevano esordito discograficamente, beninteso). I ragazzi vengono fatti suonare, e cantare, assai meglio del solito, con un risultato radio friendly che va a scapito della ruspanza e della schiettezza, quindi de gustibus a ‘sto punto.
“One of the Boys” è un ulteriore emblema di quanto appena detto: ha un eccellente lavoro di voci (tantissime) e di chitarre acustiche che, alternate a quelle elettriche tenute al guinzaglio dal missaggio, rendono il brano molto dinamico e caleidoscopico, ricco anche se non graffiante.
“Fast Cars” viene ingentilita addirittura da un diffuso intervento di vibrafono, e Baxter fa cantare il ruvido Dan McCafferty bene come mai più gli capiterà in carriera! Si evince da quest’episodio, ma anche da molti altri, che si è in ascolto di una versione ripulita ma anche ben farcita di “ganci” melodici ed armonici dei nostri. Basti dire che in “Big Boy” occhieggia un ritmo decisamente reggae e nel mezzo si impone un imperioso assolo di sax! Proprio musica in stile California, con le chitarre onnipresenti ma sempre colla museruola, le tracce vocali a decine, gli strumenti che arrivano e se ne vanno in continuazione, con timbri diversi e cangianti.
Ma non si rischia mai, dico mai la delusione, per la semplice e fondamentale ragione che la qualità melodica e di arrangiamento è alta. Solo, è strano che tutto ciò venga dai Nazareth!
Il brano a cui sono più legato è per la cronaca il penultimo “Ship of Dreams”, in ragione di un paradisiaco lavoro di cesello delle chitarre acustiche dall’inizio alla fine, in particolare nel lungo intermezzo strumentale, che di nuovo richiama lo stile dei Wishbone Ash.
Povero Manny (Manuel Charlton, il chitarrista e fondatore), Baxter non gli fa suonare un solo in tutto il disco. O magari era lui a non avere lo spirito per cimentarsi, osservato al di là del vetro di regia da uno dei migliori chitarristi al mondo… Però lo strumento suo, insieme a quello del socio Zal, ricama costantemente lungo tutto l’album. E ricamare è un verbo astruso per l’immagine classica che si ha dei Nazareth.
Per me è una delle loro opere migliori, ma io sono di parte: adoro ad esempio Toto, Steely Dan, Doobie Brothers, Little Feat, tutto quel giro tra Los Angeles e San Francisco che ha il vizio di suonare comunque BENE, ed il fatto che per una volta abbiano aggregato questo pugno di scozzesi nei loro umori d’alta classe non mi dà urto affatto.
Cacchio, su “Malice in Wonderland” i Nazareth praticamente suonano come Peter Frampton (do you remember)!? Ecco, ho trovato il riferimento giusto per cavarmela definitivamente con questa rece, potevo fare a meno di scrivere tutte quelle righe prima di quest’ultimo periodo.
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