Gli anni ottanta e le loro “mode” come déi supremi da seguire e temere… Ed ecco subito uno di essi, la radio, intesa come contenitore di musica per chi non vuole collegare le orecchie al cervello ed al cuore. Il disco si apre all’uopo con la super ortodossa (per i tempi) “All Nite Radio”: batteria orrenda, quasi solo rullante marziale salvo sporadici passaggi sui tom imbastarditi dal famigerato noise gate a’la Phil Colllins, quello della dannosissima, purtroppo epocale “In the Air Tonight”; e poi basso finto, reverberi sbagliati… tutto. I singoli, all’epoca, dovevano essere strutturati così per essere trasmessi. Oggi risultano insopportabili a quasi tutti, va là.
Segue la curiosa “Milk & Honey” che trotterella inoffensiva, fra assolvenze di sintetizzatori e lontane chitarre armonizzate; però il valore compositivo dei Nazareth riesce a riscattare in parte la situazione, poiché il ritornello cantato in coro ha capacità suggestive. Meno male che “Whippin’ Boy” si occupa di riportare la banda verso l’hard rock più classico e cazzuto, non avendo però ulteriori meriti e pertanto scivolando via adeguata ma non memorabile; eppoi anche qui vi è la batteria “ottusa” tutto rullante anni ottanta a rovinare la festa.
Il primo brano del tutto piacevole, accettabile, riuscito è la semiacustica, quieta ma ritmata “Rain on the Window” dagli indubbi echi folk, che rendono sopportabile pure l’assoletto suo di sintetizzatore al centro. Accanto ad essa, di rinforzo al concetto, appare poi “Backroom Boys”, altra singalong song del tutto imparentata alla precedente, solo più ritmata.
Si continua ad essere subissati da quel cacchio di rullante col reverbero mozzato, mi riferisco ora a “Why Don’t You Read the Book” che almeno contiene un paio di assolini riusciti dell’ispano/scozzese Manny Charlton, lasciato per una volta libero di scorrazzare colle sue chitarre. Forte invece “I Ran” che, su di un riff funky di basso + chitarre liquide alla Police, riesce ad inserirsi nei canoni del rock commerciale dell’epoca senza irritare. Cosa quest’ultima che invece riesce perfettamente a “Rags to Riches” che è ripiena di cliché dell’epoca: un ritornello sentito milioni di volte, la chitarra stoppata in stile AOR, la batteria piatta e monocorde.
I Nazareth più autentici, ancora una volta, in questi anni grigi si percepiscono in fondo ai loro album. Nei fatti, la penultima traccia “Local Still” è un vero e proprio omaggio allo stile degli Status Quo, i quali però non sono provvisti del raglio rasposo di Dan McCafferty, ed è un dato di fatto che chi ha stampato in mente questo cantante è proprio mentre che lui interpreta brani così. “Where Are You Now” in chiusura finale invece è di tutt’altra pasta, una ballata nostalgica dal testo telefonato ma dal giusto lirismo, privo di “ottantismi” di sorta.
Il quattordicesimo lavoro (1983) dei prodi Nazareth mostra assai la corda, senza dubbio. Così andava il mondo al tempo, così tenevano botta i nostri, vendicchiando ancora e rifacendosi poi nei concerti, dove venivano fuori bene le grosse palle di cui erano dotati.
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