Dopo il predecessore ‘Testimony', ecco il 5° album di Neal Morse: "One" (2004), meno classico di quello (meno archi), meno melodico di "Question mark" e meno ritmato di "Sola scriptura"; in favore di un concept meglio sviluppato e di sonorità vicine a vecchie glorie come Genesis, Yes, Asia, Gentle Giant ecc... dai quali si differenzia per l'ascendente metal; ricordando inoltre anche i primi Tears for fears. Il Concept dell'album è invece ispirato all'epopea cristiana della cacciata dal paradiso.

La formazione si compone di Neal Morse (Voce, tastiere, chitarra); Mike Portnoy (batteria e anche arrangiatore) e Randy George (Basso). Oltre una lunga lista di ospiti, che quindi tralascio.

Il concept prende vita con "Author of confusion" dall'intro strumentale scandita da Portnoy, assieme alle chitarre e tanti effetti come consueto, in perfetta tradizione; mentre un ispirato Neal si addentra nelle strofe poetiche e insieme musicali con la sua voce limpida e passionale, perfetta nel descrivere lo scenario idilliaco successivo alla creazione del parazioso; con mellotron, archi e chitarra armonizzati in modo eccelso alla stessa tastiera. La narrazione sottoforma di dialogo o pensiero passa da Adamo ed Eva a Dio, con testi scritti molto bene; che in alcuni tratti fanno pensare allo stesso John Milton, con le dovute attenzioni. Stupendo il modo in cui muta la melodia: un susseguirsi di strumenti mai caotico o stridente. Sempre romantico nei toni Neal, anche nella parte finale più emotiva dove la voce di Dio rimarca il comportamento dei capostipiti dell'umanita.

"The man's gone" fa parte del repertorio più enfatico a livello vocale e musicale, asservito ad una metrica più veloce; molto più corta rispetto ai venti minuti dell'antecedente. Segue "Author of confusion" capitolo della tentazione, che presenta riff metal, non enfatizzati dalla batteria per lasciar spazio all'inventiva di Neal nei panni di chitarrista; le parti cantate suddivise tra jazz e lente, quest'ultime con intonazione molto commossa - ancora presenti gli struggenti rallentamenti acustici, con emissione vocale tenue e fragile, intensa e sospirante.

"The separated man" presenta una base più standard, questa volta rasente il metal e nel secondo capitolo Neal tratta la presunzione dell'uomo, attraverso la metafora della grandezza rincorsa con l'innovazione tecnologica, grattacieli sempre più alti, ecc; ma le cui strofe vengono spesso spezzate ancora una volta da carezzanti assoli vocali di Neal. Segue il capitolo reprise di "The man's gone" con arpeggi folk e tamburi. Anche questa di 20 minuti. "Cradle to the grave" è invece un mid-tempo acustico in cui troviamo Phil Keaggy dei Kansas che accompagna l'ottimo Neal con una voce celestiale in questo botta e risposta tra l'uomo e Dio susseguiti da innesti classici e da un gran finale con voci sovrapposte, di cui il minimo che si possa dire è che sono perfettaqmente intonate.

"Help me - the spirit and the flesh", tratta del fallimento e del pentimento dell'uomo, che per tanto torna a rivolgersi al Dio dimenticato. Come sottofondo torna un po' di jazz. La seconda parte si collega con "Father of forgiveness" dedicata al ricongiungimento con Dio attraverso sempre più melliflue linee vocali. La conclusiva "Reunion" ravviva gli animi con l'impiego di sax e tromba ed è la più allegra in quanto rappresenta la ritrovata unione.

Negli 80 minuti del disco le lodi a Dio, il modo appassionato in cui vengono cantate, non potranno che risuonare anche in chi non è credente; in quanto anche senza corrispettivo l'immagine dipinta è un quadro d'autore.

Il secondo disco contiene alcune tracce che non hanno trovato spazio nel primo, unite ad alcune cover: U2 -Where the streets have no name; George Harrison - What is life (con Keaggy); Badfinger - Day after day; The Who - I'm free - Sparks.

Carico i commenti...  con calma