Tornano alla grande i nostrani metallers con un album decisamente molto bello e molto thrash, suonato con la solita perizia tecnica e con il loro solito stile che richiama molto il thrash anni ’80.
La produzione mette in grande risalto il lavoro di batteria e delle chitarre. Metto un veto sulla voce che secondo me andava prodotta in modo più sincero e corposo, mentre a volte si sente troppo poco ed è sovrastata dalla musica e rimane poi quasi strozzata dall’incedere complessivo del brano invece di partecipare compiutamente e con forza al lavoro degli strumenti..
Lo stile inconfondibile del thrash anni ’80 si sente subito nelle note di “Forever Slaves” e di “War Paint” ; ambedue alternano parti veloci e aggressive con parti più lente e cadenzate che però rilasciano una notevole carica. “Master of Morphine” spezza subito i ritmi con una intro arpeggiata, che lascia spazio ad un mid-tempo che mi fa venire in mente nel ritornello (soprattutto nel cantato) gli ultimi episodi dei 'Children of Bodom'.
L’inizio veloce di “Wave” fa saltare sulla sedia, poi decelera e accelera più volte e risultano interessanti soprattutto le parti veloci; quelle lente mi lasciano perplesso, non per la qualità delle stesse, ma perché non sono azzeccatissime nell’ insieme della canzone. “Theoretical And Artificial” invece è la canzone che più mi stupisce e che ritengo essere la migliore dell’album: l’accelerata e l’assolo finali sono spettacolari. “Identity Crisis” è molto (forse troppo) sperimentale, con una voce femminile che recita frasi in francese e una parte con l’inserimento di alcune parti con archi, sinceramente è un episodio che mi lascia quasi totalmente indifferente e se non c’era l’album non ne avrebbe né perso né guadagnato nulla.
“Beautiful Brutal World” ci riporta su coordinate thrash metal classiche, tutta da ascoltare. I 55 secondi di “Hyperbole” ci introducono alla lunga title track “100% Hell”. Bello l’inizio di Peso che lascia subito spazio ad un bel riffone veloce e grintoso e a strutture che si rifanno principalmente al thrash di matrice tedesca. Grande la parte centrale con il cantato in latino e l’incedere della musica molto nervoso che poi si apre con parti death lente, cupe e profonde proprio come se stessimo scendendo all’inferno. La parte finale ricalca i primi minuti del brano lasciandoci una canzone molto buona seppur lunghetta, ma che non annoia mai.
Non si può certo parlare di musica nuova o fantasiosa. Però l’ispirazione c’è tutta e una cosa è certa chi ha nostalgia del buon vecchio thrash europeo senza contaminazioni varie, può togliersi la soddisfazione di sentire questo album, che seppur non un capolavoro, ha il merito di farci tornare in mente i fasti di uno dei generi che più hanno caratterizzato la scena metal estrema.
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