Oggi ho voglia di stringere in mano una di quelle impugnature ergonomiche da chissà quanti euro per sentire quel rumore sordo, monotono e regolare, dei denti aguzzi che incidono e scavano. Vedere la segatura che vola dappertutto; entrare negli occhi, renderli rossi, ed infine cadere per terra e sul tavolo.
E’ stato in quella fredda ed indefinita notte che, lasciato semi incosciente da quattro anonime braccia sulla porta di casa, ho capito di essere un atleta degno dei migliori allori in diretta tv: quelli con tanto di inno nazionale al seguito alle olimpiadi. Altro che la porta da calcio saltata in alto da Javier calze lunghe Sotomaior, altro che i cento metri in 9 euro e 59 cent del detersivo giamaicano e altro che i tre balzelli (per un complessivo campo da pallavolo e tirchia mancia genovese) del gabbiano inglese Edwards. Un boato metallico, la lampada, a suffragare la mia personalissima impresa: completamente sbronzo 20 scalini a chiocciola, l’apertura della porta e la scalata impervia del letto senza chiodi e picozza. Un bernoccolo, quella fottuta lampada di metallo, a sottolineare il traguardo per sancire il meritato riposo del nuovo campione dell‘universo conosciuto.
Li apri gli occhi e maledici di averlo fatto, perché riaccendere quel Commodore 64 tutto pieghe grigiastre fa un male cane. In bocca un chilo di terra e la sensazione di aver baciato un cane che ha appena ingurgitato un paio di bocconi di Ciappi, o come diavolo si chiama quella sbobba. Eros Ramazzotti, la mia promised land, a non più di 5 metri. Il cesso. Ma in quell’abbagliante pozzo, dall’esofago, cade solo sparuta spremuta di bile. John Travolta e Uma Thurman in "Pulp Fiction" ballano a piedi nudi nella mia mente: li ammiro per un po’, leggermente invidioso, e poi con fare deciso gliele stacco di netto quelle due dita che si fanno passare sugli occhi. Non per rivalsa, ma solo per potermele cacciare in gola. Poca roba. Dopo un sorso di tiepida acqua di mare con mediocri risultati non rimane che l’illuminazione.
Ed eccola, tra cervelletto e fronte, prendere le sembianze di una lampada al neon che si accende per comandare una frenetica ricerca di un cerchio di plastica. La mano come l’affusolata forma di un pesce che si dibatte sulla battigia mentre ha l‘amo ancora in bocca. Un indemoniato frugare di falangi tra cianfrusaglie ritenute perse ed infine eccolo lì, sotto IL Castiglioni Mariotti e la Fenomenologia della spirito di Hegel, il cd originale che cercavo.
Non dubito che per chi apprezzi il genere possa assumere i connotati dell‘ottimo lavoro, ma per le mie orecchie è di gran lunga il peggior cd presente nelle mura di casa. Una persona stilizzata, un innamorato pensieroso, con le braccia ad X su una finestra. Lo stereo se lo ingoia di malavoglia: un bel cucchiaio di sciroppo acido per un bambino. Quelle casse sono abituate a bere birra di pessima qualità da un bicchiere sporco, igienizzato con la manica di una t-shirt, e quella produzione patinata quasi lo inganna. Il cd salta. E’ lo stereo che mi sta dicendo: ma sei proprio sicuro??
Un pop non solo innocuo, ma anche parecchio paraculo, con quella voce stridente che inizialmente potrà anche piacere. Non è il mio caso. Il suo, più che un cantare, sembra un ostentare a tutti i costi capacità di saper cavalcare note alte anche quando non se ne sente la minima necessità. La chitarra elettrica gracchia un paio di riff ruffiani ed elementari per la celebre “Tutto Scorre” e l’apripista “La distrazione“. Deve esse stato per questi due accordi che sono stati definiti da qualche parte come un gruppo rock emergente. La sezione ritmica al cartone in “Neanche Il Mare” si mescola con un ritornello anonimo ed il campionamento per non parlare della cavalcata “Parlami d’amore”. Una manciata di parole prese da un vocabolario e gettate a caso per i testi. Ve li snocciolerei tutti, i brani intendo, ma sento l’ispirazione scemare tremendamente.
Il disco deve ancora raggiungere l’età adulta, la metà, ed ha già assolto a pieno il suo compito perché finalmente, naturale e copioso, ecco uscire copioso e ricco quell’alcool ingerito a così vasto spreco di filigrana poche ore prima. Ansimante, abbracciato alla tazza del cesso, eccomi tornare finalmente alla vita mentre scema in sfumando un’altra canzone inutile ed incolore.
Questo istante, piccola e diabolica amante chiaroveggente, lo vedesti chiaramente nella tua palla di cristallo quando questo pezzo di plastica me lo regalasti, nevvero? Ed io, stolto, che dubitai della tua scelta seppure finsi apprezzamento per un po‘ di facile amore su un tappeto di note stridenti, alle mie orecchie decisamente nauseanti.
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