"Arc" è la conclusione di quella "trilogia del feedback" che agli albori degli anni 90 riporta il mito di Neil Young al suo acme presso la nazione rock. Se il fulminante "Ragged Glory" conferma che l'ispirazione compositiva non gli è venuta meno e il mastodontico "Weld" gli consente di confrontare il proprio rosario guitar rock targato Crazy Horse, cacofonico e distorto, con le evoluzioni dei suoi figliocci appartenenti alla generazione Sonic Youth-Dinosaur Jr, tocca ad "Arc" chiudere il cerchio e rappresentare l'anima più schiettamente sperimentale e rumorista del vecchio leone canadese.

Inizialmente allegato a "Weld", tale progetto si compone di una sola, lunga composizione che in 34 minuti sciorina un intenso collage tratto dal medesimo tour coi Sonic Youth ripreso da "Weld". Idea nata da una discussione proprio con Thurston Moore in quei giorni del 91, "Arc" raccoglie gli attacchi e le code improvvisate di leggendari cavalli di battaglia come "Like a Hurricane". Il tutto, per usare le parole dello stesso Young, reso "fuckin'distorted to hell". E' l'esoscheletro di quel suono febbrilmente loud che Neil ha inventato, reso feticcio e che si appresta a dominare nella stagione grunge.

"Arc" costituisce dunque più di un semplice divertissement, o l'ennesimo capriccio di un artista notoriamente imperscrutabile, al limite della paranoia. Sotto le coltri dissonanti in centrifuga che sembrano rappresentare al meglio quella alienazione urbana moderna di cui è spesso stato angosciato cantore, Young conferma di non essere stato solo un impareggiabile autore di canzoni, ma pure uno scaltro maneggione di suoni (come dimenticare "Trans" del resto: discutibile e pasticcione quanto si vuole, ma che io trovo morbosamente irresistibile), in un viaggio sghembo verso l'avanguardia che troverà la sua più perfetta attuazione nel 1996 con le siderali folate di "Dead Man".

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