Come dicevo nella recensione di “Ragged glory”, Neil Young esce alla fine degli anni ’80 da un oscuro periodo di continui cambiamenti di rotta che, alla fine, fa interrogare anche i fans più accaniti sul suo futuro di musicista. Dopo tutti questi giri di stile, evidentemente Neil sente il bisogno di una salutare reentrèe nel rock più viscerale e più passionale, quello in cui lui è un indiscusso maestro. Ecco allora Neil sfornare album come “Freedom” e, appunto, “Ragged Glory” che vengono salutati come il grande ritorno di Neil Young & Crazy Horse.

Dopo un album viscerale come “Ragged Glory” viene approntato un tour nei palasport d’America proprio nel periodo in cui inizia la prima guerra del Golfo. Per tutta risposta Neil Young & Crazy Horse vanno in scena preceduti da gruppi provenienti dalla ormai esplosa scena giunge, come ad esempio i Social Distortion e i Sonic Youth. Il pubblico, inizialmente, non è preparato a un tale assalto sonoro e fischia i gruppi di supporto, non sapendo ciò che Neil e compari avevano in serbo per lui. Una bandiera bianca campeggia sulla scena dall’inizio alla fine dei concerti, sul palco l’atmosfera è piuttosto tesa, sia perché Neil aveva da poco perso la madre, sia per il fatto che i musicisti erano costretti a vedere dalla CNN le follie che accadevano nel Golfo Persico. Ed è anche in risposta a questi avvenimenti che il gruppo sfodera una serie di concerti che sono veri e propri assalti di decibel, volumi sparati in faccia a tutto quanto stava accadendo. I pezzi sono solo sedici in questo doppio CD (inizialmente triplo, nelle prime stampe c’era anche un terzo disco con una traccia unica di quasi quaranta minuti, interamente composta dai feedback dei finali delle canzoni), ma la durata dei pezzi varia dai 5 minuti di “Powderfinger” e della apocalittica rilettura di “Blowin’ In The Wind” (una delle cover più sconvolgenti che mi sia mai capitato di ascoltare, praticamente quasi la stessa cosa che fece Hendrix a Woodstock con l’inno americano), ai 14 minuti di “Like A Hurricane”, gli altri vanno tutti fra i nove e i dieci minuti. Fra i picchi, oltre ai tre brani succitati, sicuramente “Crime In The City”, che qui viene fatta deflagrare rispetto alla tutto sommato morbida versione di “Freedom”, e SOPRATTUTTO “Love To Burn”, “Rockin’ In The Free World” e “ Love And Only Love”, tutti pezzi con lunghe e furibonde improvvisazioni chitarristiche tra Neil e Poncho Sampedro.

Neil sul palco sembra tarantolato, muovendosi sempre su e giù con quella Old Black col distorsore perennemente alzato e anche i Crazy Horse ci danno dentro al massimo in una serie di show che batterà per un bel po’ di tempo i record di decibel emessi in un concerto rock. Ci sono alcuni pezzi classici, da una sensazionale “Cortez the Killer” con Neil che come al solito sembra cadere in trance durante i suoi lunghissimi assoli elettrici, a “Powderfinger”, con una lunga distorsione iniziale, a “Cinnamon Girl” a “Mansion On The Hill”. Il disco si chiude con la solita sentitissima (e triste) “Tonight’s The Night” (respect for Bruce & Danny) lenta e minacciosa, con improvvise deflagrazioni (quasi noise), poi il gruppo si congeda con una versione elettrica di “Roll Another Number” che, tanto per restare in tema, proviene dallo stesso album “Tonight’s The Night”.

Per chi vuole provare l’ ebbrezza di un assalto sonoro elettrico e per chi non ne vuole sapere di andare a sentire Neil Young solo acustico. Questo disco è una delle massime espressioni di cosa vuole essere il rock quando deve essere abrasivo.

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