Mai avezzo all'accomodarsi facilmente alla moda del momento o alle spinte degli addetti del lavoro, The Loner si ritrova nel bel mezzo degli anni Ottanta in piena agitazione, personale, familiare, artistica e contrattuale. Smessi definitivamente i panni turbolenti del decennio passato, si è accasato felicemente di fresco con una famiglia nuova di zecca (non tuttavia senza qualche problema dal momento che ha ben due figli affetti da paralisi cerebrale), Neil musicalmente sembra godere come un riccio da quando è iniziato il nuovo decennio a giocare a cambiare stile per ogni disco (con la consueta media di uno all'anno o quasi), passando dall'hard rock spinto all'elettronica, al rockabilly e al country, sfidando e spesso spiazzando fans e non solo.

Già, perché nel frattempo, scaduta la più che decennale collaborazione con la Reprise Records, ha pensato bene di portare un pò di aria fresca anche in questo campo, siglando un nuovo contratto con la recente etichetta fondata da uno degli ex boss del gruppo Warner, David Geffen, riuscito a portare sotto i propri scudi artisti del calibro di John Lennon, Simon & Garfunkel, Donna Summer e Peter Gabriel tra gli altri. Peraltro, il buon David era già, dieci anni prima, cascato male alla guida della Asylum Records con un certo Bob Dylan, e forse un pò di maggiore attenzione con i cantautori non avrebbe guastato. The Loner, più Loner e bizzarro che mai, inizia a proporre dischi che di commerciale (o commerciabile) hanno ben poco, e appare refrattario a qualsiasi esercizio promozionale che le mode del nuovo decennio sembrano imporre anche alle vecchie volpi del rock (leggasi Mtv e relativi videoclips), e in breve l'artista di ritrova portato in tribunale con la paradossale accusa di non incidere più musica "rappresentativa" e deve ritardare per ben due anni la pubblicazione di un album inciso nel 1983 e titolato Old Ways. Non è un semplice rifiuto delle logiche commerciali, quello di Neil: come d'altra parte un certo Bruce Springsteen, in quel periodo sembra percorre un cammino all'indietro, di ricerca delle radici della musica tradizionale americana, ricerca affiancata da prese di posizione in favore degli agricoltori, di quell'America profonda e tradizionale, finita inconsapevolmente all'ultima pagina di una rivista patinata, a colori e terribilmente yuppie che vede in copertina Wall Street, il mito dell'uomo di successo, sullo sfondo della piena era Reagan. I percorsi di Neil e Bruce alla fine non saranno identici, ma non può non far riflettere il fatto che album come Nebraska e Old Ways risalgano allo stesso periodo.

Sia come sia, tra il 1984 e il 1985 Neil si ritrova, un pò scoraggiato ma anche un pò intestardito come di sua consuetudine, a portare in tour quello che, appunto, avrebbe dovuto essere il suo ultimo lavoro, Old Ways. Un disco di country più che mai ortodosso, lontano dal possedere singoli alla Harvest come "Old Man" o "Heart of Gold"; eppure, in onore a quel disco, Neil mette in piedi una nuova band intitolata International Harvesters ad accompagnarlo dal vivo, ritagliata dai musicisti che lo avevano aiutato in studio (i bassisti Tim Drummond e Joe Allen, il violinista Rufus Thibodeaux, il chitarrista e mandolinista Anthony Crawford, il batterista Karl Himmel, i pianisti Hargus "Pig" Robbins e Spooner Oldham, il fido amico Ben Keith alla slide). Ed è proprio da quelle date che salta fuori nel 2011, con la sigla appunto di Neil Young & The International Harvesters, questo A Treasure. Un album sicuramente piacevole per chi ama il Neil più orientato al country, meno per gli altri, con alcuni gioiellini che lo rendono però decisamente attraente per tutti coloro hanno una certa predilezione per la musica del Canadese: "Amber Jean", "Nothing Is Perfect", "Flying On The Ground Is Wrong" e "Grey Riders". I dodici pezzi che lo compongono presentano ben poco in realtà di Old Ways (solo "Bound For Glory" "Get Back to The Country"), preferendo pescare tracce più o meno lontane del passato younghiano: ecco quindi una premonitrice "Are You Ready For The Country?" da Harvest, nemmeno troppo dissimile dall'originale, un'autentica chicca dell'era Buffalo come "Flying on The Ground Is Wrong", trasfigurata dall'originaria veste pop psichedelica sixties, e, colmo dei colmi, ben due pezzi del suo album metal-punk per eccellenza Re-ac-tor, "Motor City" e "Southern Pacific" resi in maniera irriconoscibile. Il tutto affiancato da una cover e da cinque pezzi finora inediti di qualità, l'allegra "Amber Jean" dedicata alla figlioletta appena nata, il caldo blues di "Soul of A Woman", lo stomp "Let Your Fingers Do The Walking", la bella ballata-quadretto familiare dal titolo quanto meno azzeccato "Nothing Is Perfect" e dalla finale "Grey Riders". "Grey Riders" è forse il pezzo che, più di tutti, vale il prezzo del biglietto. Si tratta di un potente pezzo rock che avrebbe potuto trovare posto in un qualsiasi disco con i Crazy Horse. Una tempesta elettrica di sei minuti il cui ritornello, col fulminante fraseggio della Old Black di Neil, entra in testa e non ne esce più. se fosse stata pubblicata ai suoi tempi sarebbe potuta diventare un classico di ogni live show di Neil, ed essere tranquillamente considerata la Like A Hurricane degli anni Ottanta, ma per qualche inspiegabile ragione è rimasta negli archivi fino all'altro ieri.

D'altra parte, a trovare involontariamente il titolo pare sia stato proprio il vecchio Ben Keith, il quale, riportando alla luce i nastri delle registrazioni dopo 25 anni nel corso della ricerca per il materiale delle Archives Performance Series -della quale A Treasure costituisce il volume 9- esclamò a Neil "Questo è un tesoro!". Purtroppo Ben non ce l'ha fatta a vedere uscire A Treasure, lasciandoci un anno prima, e il titolo non può non suonare come un affettuoso omaggio di Neil all'amico e alla slide guitar che lo hanno accompagnato fedelmente per decenni.

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