Sono passati ormai quattro anni dall'ago e dal danno fatto e Neil questa volta sente il bisogno di ubriacarsi un po' e di farsi accompagnare da violini country e voci femminili, meglio se quelle della fidata amica Linda Ronstadt (responsabile dei cori di "Harvest" insieme a James Taylor) e della giovane cantante Nicolette Larsson, con la quale il rapporto non sarà soltanto lavorativo ma anche affettivo. L'idea guida del disco dovrebbe essere la celebrazione della vita da saloon americana e delle imprese dei pionieri, ma le eccessive frequentazioni del Canadese con Jack Daniels & friends compromettono l'esecuzione della seconda parte del progetto, costringendolo a pescare dal suo straripante archivio di composizioni inedite delle canzoni risalenti anche a tre anni prima, allo scopo di completare in tempo utile l'album. Il risultato di quest'unione di composizioni in bilico tra presente e passato è "American Stars'n bars", pubblicato nel 1977 in uno dei periodi più felici (o meno peggiori) della vita di Young, dopo la tempesta dei primi anni Settanta e prima dell'uragano degli anni Ottanta che spazzerà via tutte le sue certezze musicali e non.

All'ascolto il disco evidenzia fortemente la sua condizione di prodotto eterogeneo della mente younghiana, con una prima facciata composta da scialbe e alticce composizioni country come "The Old Country Waltz", "Saddle Up The Palomino" e "Bite The Bullet" (quest'ultima leggermente più elettrica), con testi banali e scentrati, e nella quale si salvano solo "Hold Back The Tears", principalmente per il testo malinconico e nostalgico e soprattutto "Hey Babe", in cui le atmosfere da saloon si arricchiscono di sfumature malinconiche che riecheggiano il mood tipico di alcune composizioni di "After The Gold Rush", per esempio "Tell Me Why". Dopo un parzialmente deludente primo lato dell'album, è nella seconda parte che i sentimenti e la malinconia prendono il sopravvento in una serie di canzoni da K.O. emozionale. Si parte con "Star Of Bethlehem", registrata nel novembre 1974, chitarra, armonica e voce in primo piano a descrivere l'impossibile tentativo di tener testa ai ricordi di un passato felice che si insinuano nella mente e "ti lasciano spogliato di tutto ciò che potevano". Ma è con il brano seguente che si raggiunge il picco emotivo del disco e probabilmente di tutta la carriera di Neil Young: "Will To Love". Sono sette minuti e passa di amarezza per il presente, rimpianto per il passato e voglia di non perdere la forza di amare nel futuro, interamente suonati dal Canadese nel suo studio privato in seguito ad un eccesso di droga, alcool e malinconia, nel maggio del 1976. Il pezzo che segue questo capolavoro è un'altra pietra miliare del canzoniere younghiano, "Like A Hurricane", proveniente dalle sessioni con i Crazy Horse per le registrazioni di "Zuma" e resa indimenticabile da un testo ancora una volta memorabile e dalla torrenziale coda in feedback, sublimata nell'esecuzione della canzone presente nel film "Rust Never Sleeps". A chiudere il lavoro c'è la rockeggiante "Homegrown", con lo stesso titolo di un album inedito di Young registrato nel '74, dal quale tuttavia non proviene, essendo stata messa su nastro nel novembre '75. "American Stars'n Bars", non un capolavoro, ma sicuramente un altro esempio della capacità di Neil Young di scrivere canzoni con il cuore prima che con la mente.

Forever Young.

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