Cosa mi posso aspettare da un sopravvissuto? Più o meno me lo chiedo ogni volta mi trovo di fronte a un disco appena sfornato da uno dei tanti reduci della brigata rock che frequentano le scene. E me lo chiedo in particolare modo se quel reduce ha segnato col fuoco un'intera serie di generazioni di musicisti e ascoltatori. ancora più in particolare modo se quel reduce ha segnato a fuoco me. Saprai sorprendermi? Difficile. Ma almeno, saprai intrattenermi per un'ora circa di musica? Insomma, questo disco che mi propini, ha un qualche senso di esistere, per cui, pur non pretendendo di essere un nuovo "After the gold rush", "Everybody Knows This Is Nowhere" o "Rust Never Sleeps", almeno non mi faccia pensare quanto sei invecchiato e che i soldi che ho speso per te li avrei potuti spendere per qualche altro artista, magari emergente aggiungiamo pure? La risposta non è facile.
Neil vecchio Loner, in passato hai saputo deludermi con parecchi dischi dopo Ragged Glory, forse l'ultimo lavoro davvero riuscito e tranquillamente comparabile col glorioso passato. Dischi non brutti in assoluto -oddio, qualcuno in realtà non troppo lontano dall'esserlo- ma spesso uguali, noiosi a se stessi, riciclanti gli stessi suoni e accordi del passato. Certo, hai saputo continuare a incazzarti per ambiente, guerre, giovani epigoni schiantatisi col muro della vita, e non è poco. ma, concedimelo, di memorabile ho visto -e sentito- ben poco. E ho finito per smettere di comprare i tuoi dischi nuovi, preferendo continuare a immergermi nel passato.
Così, di fronte a questo "Chrome Dreams II", mi sono posto il dubbio. Ne avevo sentito parlare bene, anni fa (risale ormai a un lustro fa..), Ma ormai, chi parla veramente male di un reduce, a meno che la bruttezza non sia eclatante? C'è sempre un pò di ossequioso rispetto attorno a voi reduci, caro vecchio Loner. Alla fine, visto il prezzo, dieci euro e novanta centesimi, visto che non avevo trovato nemmeno uno dei dischi di cui ero in cerca, ho ceduto. Alla peggio, mi son detto, non ci avrò rimesso troppa grana. Tornato a casa, apro le danze con una certa curiosità e pure con un certo disincanto. E mi sento subito truffato. Già perché, Beautiful Bluebird ha lo stesso giro d'accordi di Out in The Weekend, il pezzo di apertura del tuo disco più famoso e venduto al mondo. Non solo, ma pure lo stesso ritmo e anche lo stesso assolo di armonica. Mentre monta la sensazione di fregatura -ecco ci risiamo, un altro disco fotocopia- lascio però che la canzone entri dentro di me. E mi rendo conto che più che di truffa, si tratta di un simpatico buffetto: troppo sfacciato è il richiamo. 35 anni dopo, canti la stessa canzone, la rielabori per dire che i tempi di Harvest, droga, alcol, depressioni, guai di vita, se ne sono andati. Ora ti svegli ogni mattina, ti affacci alla finestra, ti rendi conto di quanto sei diventato adulto, di quanto sei diventato saggio, di come hai imparato a gestire la tua vita e a viverla in pace con te stesso. Dopo di che, tutto il resto del disco appare curiosamente come il "meno sentito" da parecchi dischi a questa parte degli ultimi venti anni. E, curiosamente, uno dei più vari stilisticamente, proprio da te che ci hai abituati a sfornare album focalizzati di volta in volta verso un particolare genere. C'è il country-rock classico, ma con vaghi accenni western ("Boxcar"). C'è il blues, ma con un'inedita grana gospel ("The Believer"). C'è ovviamente l'hard rock col tuo tipico marchio di fabbrica, ma in "Ordinary People" questa volta più che i Crazy Horse, con le tastiere e i fiati sembra che dietro a te suoni la E-Street Band (Bruce non se la prenderà a male?).
E se proprio ci sono ricordi del passato, sono dei piacevoli fantasmi che riaffiorano. "Shining Light" sarebbe potuta essere benissimo un tuo pezzo cantato da Richie Furay in "Buffalo Springfield Again", e "No hidden path" e "Spirit Road" ricordano sì le tue scorribande coi Crazy Horse, ma saltano fuori le atmosfere più cupe, venefiche e e nemmeno troppo velatamente inquietanti di "Down by the River" o "Cowgirl in the sand". "Dirty Old Man" poi ha un tiro tale da farla sembra una outtake da "Rust Never Sleeps" (rigorosamente secondo lato). Paradossalmente, caschi male solo quando cerchi di fare qualcosa di davvero nuovo per te, azzardando la nenia al piano con tanto di coretto di voci bianche di "The Way". Ma è l'unico passo veramente falso di tutto l'album. Un album alla resa dei conti piuttosto strano e poliedrico, per i canoni younghiani. può apparire -e forse lo è- un disordinato collage di differenti cifre stilistiche e frammenti, a cominciare dal titolo ripescato da uno dei tuoi tanti mitologici album incisi e cestinati negli anni Settanta. Ma non ci hai abituati tu per primo alla frammentarietà in formato vinile, con Tonight Is The Night o American Stars'n'Bars? E Chrome Dreams II è così frammentario e disperso da suonare come il tuo lavoro più eccitante e solido dai tempi di "Mansion in the Hill" e co..
"Know when you see him, nothing can free him, step aside, open wide, it's the loner".
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