Aprire 'Old Ways' (1983) significa sempre incontrare un certo stupore, un certo sbigottimento, un contrasto, come quando piccoli e inconsapevoli, si veniva trascinati in mezzo alle fiere di paese, tra il frastuono della gente, gli urli dei mercanti e i giri di giostra.

Abituati alla cauta semplicità di Neil Young, per ogni ascoltatore non è cosa semplice rapportarsi a questo disco, agli scacciapensieri siciliani, alle voci e agli stereotipi che esso contiene. Com’è noto, gli anni ’80 sono stati anni difficili per il cantautorato e, in ugual modo, lo sono stati per Neil Young, prima, alle prese con avverse vicissitudini personali e, successivamente, insidiato da una nuova casa discografica piuttosto insolente (Geffen/Universal). Abituati alla compostezza stilistica di Young, furono in molti, seguaci e sostenitori, a rimanere in un primo istante sbalorditi dall’incuria e dal becero patriottismo manifestato in questo e negli ultimi dischi del canadese: "Old Ways", suonato con gli International Harvesters, è un disco di country didascalico, conservatore, reso ancor più insopportabile da testi al limite del reazionario, che esaltano il 'buon americano', i camionisti, le autostoppiste, ecc; praticamente un campionario dei migliori luoghi comuni e nostalgici, lontani anni luce dai versi poetici e arguti a cui i fan erano ormai adusi.

Un disco che suona vuoto, che suona “Country” solo dentro ad un negozio di souvenir, che restituisce il lato più stereotipato e fasullo della campagna americana e, è bene dirlo, è la peggiore sintesi, al contrario di quanto si pensi, di un ispirato periodo compositivo. Cow Boys che collaborano per una campagna migliore e più giusta, camionisti romantici che percorrono lunghe e desolate Higways, suoni plastici, falsetti anni ’50, popolano le pagine villane di questo album, e la voce di Neil per solito così fragile e partecipe, in questi brani, pare sguaiata e totalmente distaccata dal proprio cantato. Per un fine Songwriter abituato a trasporre in musica le stagioni della propria vita, Old Ways, suona, quindi, come un’eccezione che nei toni, per nulla rispecchia quel momento difficile, restituendoci un Neil distaccato e sbruffone. Bisogna andare un poco oltre, addentrandosi nei retroscena, nel dietro le quinte, e si capirà ben presto che anche quest’album ha una sua storia e un suo perché all’interno della longeva carriera artistica Younghiana e, come altri lavori di quel periodo, va indagato nella sua sostanza più intima prima di essere dato in pasto ai commenti degli uditori.

Forse, non tutti sanno che Neil alla fine dei gloriosi anni ’70, chiusisi alle sue spalle con lavori di prima linea, cambiò casa discografica passando dalla Warner alla, già citata, Geffen dando inizio ad un decennio di opere molto diverse dal passato e differenti tra loro. Dopo una serie di buchi nell’acqua come 'Hawks & Doves', 'Reactor', 'Trans', all’inizio degli anni ’80, Neil sembrava lavorare con ispirazione al progetto 'Old Ways'. In breve tempo il disco prese forma, un carattere piuttosto definito e mancava solo di una certa completezza stilistica. Fonti certamente attendibili testimoniano della notevole qualità delle prime registrazioni e di altrettanto valido materiale escluso dal disco ed accantonato per volontà dello stesso Young. (Negli anni e nei dischi successivi infatti faranno comparsa sotto mentite spoglie alcuni brani provenienti da quel munifico periodo, Razor Love e Silver & Gold nell’omonimo disco, Country Home in Ragged Glory, ecc).

Presentata una prima bozza del disco, in seguito a ripetute pressioni da parte della Geffen, la stessa casa discografica accusò Neil, in modo eccezionale, di non scrivere cose “alla Neil Young” e di non fare gli interessi della produzione in corso. Young, evidentemente seccato dall’accaduto, decise di smantellare il bel progetto e ricostruire un album, che desse fondatezza alle accuse rivoltegli. Fece allora quanto possibile dal punto di vista della composizione e degli arrangiamenti, lasciando da parte molta della sua proverbiale pignoleria, inserendo un paio di brani scritti in 10 minuti e registrando il disco in tutta fretta con pochi amici, come fosse uno scherzo irriverente. La critica distrusse il disco alla sua pubblicazione e la speranza di riascoltare il vecchio Young pareva sempre più remota e improbabile. Tali previsioni trovarono conferma nel 1986, quando la “galleria degli orrori” si arricchì del suo pezzo più importante, 'Landing On The Water', un disco brutto, affossato da sintetizzatori e vocoder, che nelle intenzioni doveva essere il ritorno al rock, fu annunciato da Neil come un nuovo 'Tonight is the night', ma che in definitiva fu solo un ritorno al synth-pop più osceno.

E’ forse proprio l’irriverenza la chiave di lettura di questa tappa nel cammino artistico di Neil Young. 'Old Ways' è una vendetta consumata fredda, una burla irriverente nei confronti della casa discografica e, forse e più in generale, della discografia americana di quel momento. Credo risultino abbastanza evidenti, a chiunque sia avvezzo ai moduli e all’eleganza di Neil Young, le differenze che rendono unico questo lavoro, rispetto al passato e al futuro artistico del canadese: le voci incaute, gli arrangiamenti pessimi, le tematiche insulse, il trasporto emotivo assente. Riascoltare il disco, anche dopo aver raccolto ulteriori informazioni, non toglie il senso di angoscia davanti ad alcuni brani inutili, talvolta, mostruosi. Ma non tutto è da buttare. Neil ha comunque voluto abbandonare a questo disco alcune piacevoli sfumature, che appartenevano con tutta probabilità al primigenio progetto; Misfits, notturna ballade ricca di suggestioni e soprattutto My Boy, dedicata al figlio, sono perle di raro incanto, che Young sembra lasciare come tracce di una vena creativa ispirata, ma volutamente trattenuta.

Se cercate il country d’autore non cercatelo in questo lavoro, se cercate il country del Signor Neil Young visitate altri lidi meglio attrezzati come American Stars & Bars, Silver & Gold, Comes a times o uno dei numerosi altri album del filone cosiddetto “bucolico”. Tuttavia se siete affezionati a quest’uomo ed alla sua epopea umana e artistica, non potete esimervi dall’ascolto di questa vicenda musicale così insolita, con i suoi significati e le sue ricercate contraddizioni, magari scoprendo sotto la polvere qualche vena d’oro.

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