Santa voglia di vivere, e dolce Venere di Rimmel. Cinque mesi dopo, "Tonight Is The Night".
Tenui aloni di luce nelle tenebre, destinati a estinguersi. Epitaffi disperati e dolenti ricordi di epoche sepolte. Discreti fuochi fatui lamentosi scoppiettano nel buio. Lo stare supini sul letto, aspirando voluttuosamente ampie boccate di fumo, depressi e incazzati: un quadro di Vettriano. Granelli di felicità che celano un universo di mestizia. L'insensatezza quale unico vero senso. Un'armonica sconsolata, evocatrice di deserti sconfinati, del grigio cantuccio polveroso dove tesse il ragno e tu ti rannicchi a piangere. La pioggia che picchietta sui vetri dell'anima. Tremolanti stelle azzurre che lentamente vanno spegnendosi.
Chitarre rampanti e gaudenti provano a rimarginare ferite troppo profonde. La brama di un altopiano isolato, dove stare da soli per ritrovarsi, e poi non ritrovarsi, per stare davvero soli. Gli albori dello slow-core. Brividi astrali, larghe vedute vertiginose di gelidi picchi innevati, sospesi in un orribile limbo. Uscire dall'incubo per entrarne in uno peggiore. Futili esortazioni si smarriscono nell'etere. Il potere dell'immediatezza che scombussola i sensi.
E la consapevolezza, infine, di essersi elevati all'Arte, araba fenice eterna e multiforme.
Una lacrima scorre sulla mia gota da metallaro. Sono solo un poveretto, soverchiato da qualcosa più grande di me. Soverchiato dal genio di uno che non avrebbe dovuto vendere neanche un disco.
Danny Whitten e Bruce Berry, possa l'ombra dei cipressi vegliare sul vostro eterno riposo.
E a te, Neil, una volta di più... grazie.
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