Nella totale distruzione della filmografia moderna, uno dei "settori" più interessanti degli ultimi anni è quello della "fantascienza indie". Titoli come "Moon" di Duncan Jones, "Her" di Spike Jonze, il recente "Ex machina" di Garland, si sono segnalati per il "minimalismo" della messa in scena e per un'autorialità dal carattere "soft", sempre più rara nella commercialità ostentata del cinema attuale. A voler ampliare l'orizzonte in questione, il nome di Blomkamp si inserisce nel quadro del più inflazionato fanta-action, anche se va detto che il cineasta sudafricano ha nel corso degli anni sviluppato un suo personale trend filmico che mescola uno stile documentaristico, action dai tratti "computerizzati" e una reminescenza classica presa in prestito dai maestri del genere. E' con queste caratteristiche che Blomkamp si è presentato al grande pubblico con i suoi primi due lungometraggi: l'esordio folgorante di "District 9" (2009) e il più retorico e blockbuster style "Elysium" (2013). Sullo stesso solco stilistico si posiziona anche "Chappie", terza fatica del buon Neill, deturpato nel nostro paese con il titolo di "Humandroid".
Blomkamp torna a Johannesburg: le macchine, gli "scouts", hanno ormai sostituito l'uomo come corpo di polizia. Deon (il giovane Dev Patel) è l'ideatore degli scouts ed ha in cantiere il progetto di creare un robot in grado anche di provare emozioni, una macchina senziente e con coscienza. Chappie sarà la sua creazione. Vincent (Hugh Jackman) è un duro e puro, un conservatore cristiano vecchio stampo. Per lui gli scouts sono un problema e la sua soluzione è il mega robot Moose, considerato però dalla stessa polizia, un qualcosa di ormai superato, oltre che troppo costoso. Lo scontro tra due diversi modi di vedere la realtà.
Una delle poche certezze riguardo l'opera terza di Blomkamp è che ha diviso, pubblico e soprattutto critica. Per alcuni il tema della IA è ormai obsoleto e stra-abusato (vero), per altri il problema del film è il robottino troppo "bambinesco". Considerazioni veriterie, a cui si aggiunge una sceneggiatura non proprio brillantissima e che tende a far "precipitare" gli eventi, specie nella seconda metà del film. Ciò che però va sottolineato è il proseguimento di un percorso stilistico, ma anche tematico, che Blomkamp porta avanti fin da "District 9": la sua è una "fantascienza sociale" che prima ancora di avventurarsi nell'action puro, vuole indagare i rapporti tra gli essere umani e le macchine, più in generale il confronto/scontro con il diverso o quello che consideriamo tale. Chappie non è altro che il veicolo attraverso il quale l'autore vuole scandagliare quel sentirsi esclusi dalla società, che è uno degli aspetti più ricorrenti della contemporaneità. La scena in cui dei ragazzi picchiano Chappie perchè lo ritengono uno scout, ma semplicemente perchè è "diverso" da loro, richiama quell'avversione verso ciò che non conosciamo che è una delle grandi paure dell'umanità. Ed è in questo solco che Chappie appare molto più umano degli umani stessi, mosso da un "codice morale" di cui sono quasi del tutto privi i personaggi che gli girano intorno. Blomkamp utilizza la fantascienza per parlarci di razzismo e chi ha visto in questa opera un semplice action con robottoni, ha probabilmente travisato l'intento primario del regista. Evidente poi anche la frecciatina al mondo cristiano, in qualche modo rappresentato dal personaggio di Hugh Jackman: un conservatore che si fa il segno della croce, ma che non ha problemi ad usare la violenza per togliere di mezzo ciò che non ritiene conforme al suo mondo. Il progresso è per lui un problema, così come sembra esserlo per parte del mondo cattolico...
"Humandroid" è una sorta di romanzo di formazione in salsa androide, dove ciò che circonda il robot protagonista, funziona meno bene del buon Chappie: e se da una parte bisogna evidenziare una regia che è ancora troppo legata e simile ai due lavori precedenti, va altresì detto che il percorso di Blomkamp è coerente e lineare, oltre che ben supportato da una messa in scena di gran livello. Un'opera che a volte appare troppo semplicistica in alcune scelte di sceneggiatura, ma che mostra anche un cineasta capace di rielaborare con un personale credo stilistico quelli che sono stati i grandi titoli della fantascienza degli eighties (e non c'è neanche bisogno di citarli). Allo stesso tempo è un lungometraggio che ha in se locations e atmosfera carpenteriani, la plasticità geometrica di Mann, le intuizioni del primo Cameron.
L'unica grande certezza di "Chappie" è che continuerà a dividere la critica e il pubblico.
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