Pump up the volume Baby, pump up the volume, Baby!!!
Portalo in cima fino a far tremare le pareti della tua stanza!
Una line up di chitarra - basso – batteria che avanza come un treno dentro il mio stereo fino ad innondare i miei centri neurosensoriali come una scarica progressiva di adrenalina.
The Neptunes are back! E non lo hanno fatto con un cd ma con una bomba da far esplodere a volume altissimo dentro le nostre orecchie.
Funk, rap, hip-hop, afro e rock che neanche il miglior barman della “Milano da bere” avrebbe saputo così bene miscelare.
I “nettuni” (Pharrell Willialms e Chad Hugo) produttori R’n’B di fama planetaria, insieme al loro amico Shay, si presentano sotto l’acronimo N.E.R.D. (No one Every Really Dies) per il loro secondo disco che fin dalle prime note di “Don’t Worry About It” parte con una batteria (mai sentita con un suono così ben registrato) ed una chitarra che non si lasceranno più; qui Andrew Coleman suona la sua sei corde come fosse il Lenny Kravitz più ispirato, che per la verità invece darà il suo contributo chitarristico in “Maybe”.
Non fai pace con questo disco fino alla traccia numero sei, quella “Breakout” che dopo un minuto da pop song diventa funk per poi tirare fino ai ritmi nu-punk tipo Smashmounth e ritorno. Mentre con “Wonderful Place” strizzano l’occhio ai momenti più corali dell’ultimo Outkast, evidentemente i tre grammy e una vagonata di cd venduti hanno fatto breccia nella nuova onda “black”.
Un disco veramente potente, ispirato e per happy people, che è debitore a così tanta bella musica del passato da diventare (forse) lui stesso una pietra angolare per i suoni black del prossimo futuro, insomma, un disco coi neuroni che ballano.
Ascolti tutto “Fly or Die” e ti tornano in mente il Lenny Kravitz dei primi due dischi, il “vero” Principe di Minneapolis, Michael Jackson e i suoi 4 fratelli, tutta la scuola inglese “classica” africanizzata, i Funkadelic, Santana e anche qualche linea di chitarra di hendrixiana memoria.
In definitiva, per chi ha amato “The Love Below” degli Outkast eccone la versione “cattiva”.
P.S.: il “dottore” ne consiglia l’ascolto a volume altissmo.
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