Paolo Villaggio si ama o si odia.
Non ci sono mediazioni.
Per certi versi, la sua stessa carriera è divisa in due: da un lato l'intellettuale istruito, figlio della buona borghesia genovese, che seppe scuotere il pubblico conservatore alla fine degli anni '60, con il personaggio del dottor Krantz, che mise alla berlina il mondo del lavoro e certa società gerarchizzata nei libri e nei primi tre film della serie "Fantozzi" (ispirato da Bersezio, Svevo, Kafka - si noti il climax ascendente), che frequentava il bel mondo attoriale dei Gassmann, Tognazzi, Monicelli, Olmi, Fellini, che recitava a teatro Moliére, le memorie di un povero vecchio; dall'altro, un professionista dello spettacolo, coinvolto in produzioni cinematrografiche di dubbio gusto e scarso valore artistico (ma di grande successo), soprattutto dalla fine degli anni '70 alla metà degli anni '90, autore di volumetti usa e getta editi nel periodo natalizio, comparsa in trasmissioni domenicali pomeridiane.
Per vero, non ho mai capito se, al dunque, Villaggio ci sia o ci faccia: se sia ingenuo o furbo, se sia buono o stronzo. Forse, come quasi tutti noi, è un po' tutto. E' forse per questo che, fra tutti i suoi film, apprezzo soprattutto "Fracchia la belva umana" (1981), in cui il nostro interpreta sia il debole Fracchia che il feroce criminale, sosia in lotta per sopravvivere senza esclusione di colpi.
E' come se in questo film Villaggio mettesse in scena la propria storia e la propria vita, si autodenunciasse come vittima e carnefice, del proprio io, dei propri personaggi, della propria vita. Già il titolo è un programma: "belva umana" come killer presunto, ma anche come uomo ferino, e tuttavia privo dell' "ugne abbastanza forti" per uccidere, come avrebbe detto il Gozzano di Totò Merumeni.
E' il film in cui il nostro recita meglio: basti notare come si trasfiguri, anche fisicamente, nel ruolo del povero travet e nel ruolo dell'aguzzino, come il suo sguardo si faccia ora implorante ora duro. Come sembri più magro nel ruolo dell'assassino, grasso e goffo nel ruolo della vittima. L'avessero fatto Sellers, De Niro o Hoffman, per la regia di un Blake Edwards, di uno Scorsese, di un Levinson, staremmo qui a parlare di Oscar vinti o sfumati per un soffio.
E' un film ambiguo, al dunque, questo "Fracchia": sospeso fra perfetti meccanismi comici (grazie ad ottimi comprimari: si veda la strepitosa coppia di poliziotti Banfi - Ghiani, Gigi Reder, i cameo di Salvi e Boldi, i classici Mazzamauro e Reder), fra scene farsesche (cena da Gigi il Troiane), e più attente riflessioni, in filigrana, sul bene ed il male, sull'essere e l'apparire.
Solo per questo film, amo Paolo Villaggio.
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