2001... anno di grazia, odissea nello spazio della musica Wave.
L'anno di "Lateralus", l'anno di "A Sun That Never Sets".
Si parlava di fratellanza tra i due titoli, di lavoro barocco per il capolavoro dei Tool, di arte minimale per quello, rosso, dei Neurosis. Ma l' Onda Neurotica è irrimediabilmente proiettata all'interno, non cerca Tantrici momenti di estasi Tooliani, ma spirali di isolamento fatte musica. E' un suono, quello dei nostri collaudati amici da Chicago (quale, quella marziana ?), a cui siamo abituati (fin troppo bene) già da tempo; è uno Sludge che parte dalla prima traccia, preludio di distorsioni sonore, e porta la morte (Erode), ci immerge nella trama del disco sulle onde della marea (the Tide), raschia il fondo del barile, corrosivo, in pezzi come "From the Hill", tribale come nel mantra ossessivo (mai troppo...) "From Where Its Roots Run", dannatamente Post-Core nella cavalcata porpora di "Falling Unknown", pezzo da brivido con un intrecciarsi di voci in caduta libera per i suoi oltre 13 minuti.
Stranamente più assimilabile dei precedenti "Times of Grace" o "Enemy Of the Sun", gelido ma con una vena di positività che esce sul finire, accompagnata dalle campane di "Resound" e con la finale (ma se ascoltate il pezzo non proprio conclusiva) "Stones From The Sky", con echi Doorsiani, malignamente interrotta per un difetto artificiale, che chiude un Loop altrimenti infinito. Meno monocorde di Venom dei Breach, più oscuro dei recenti Isis, assolutamente lontano dal nervosismo e dalla rabbia di "Converge" o "Dillinger Escape Plain", a mio parere il più bel disco dei Neurosis assieme al vecchissimo "Soul At Zero", ci lascia immersi in un mare denso, in una landa deserta al tramonto, in attesa di salvatori (alieni) che non arriveranno mai; un' atmosfera meravigliosamente evocata dal lavoro delle chitarre, a volte arpeggiate, ben piu spesso graffianti, sempre ottimamente supportate da una sezione ritmica lacerante e in calando, che ipnotizza (a volte sembra possa finire la musica da un momento all'altro !), e dalla eccezionale corposità vocale di Von Till, in grandissima forma, che ci trascina tra momenti di rabbia e di lamento, o anche di vera melodia, sentire la Title Track per credere. L' uso sapiente di campane, flauti e strumenti particolari, e della giusta dose di elettronica, ad opera dell'onnipresente Noah Landis, fa il resto conferendo un corpus al concept sanguigno del disco, oltre al super evocativo Artwork, realizzato da un giovane artista (Seldon Hunt) di cui risentiremo parlare.
Un disco per chi ovviamente apprezza sonorità non troppo "Metal", ma scritto e prodotto da persone (Albini ha segnato tutti i recenti lavori dei Neurosis) che non riescono a far uscire porcherie o neanche mezzi passi falsi. Per loro (per me) un 5/5 che sta stretto in una misera frazione, per gli altri un pò meno, bisogna pur digerirlo se si mangia usualmente solo pane e Nevermore. Aprite il cuore e le orecchie a questi artisti, se non li conoscete ancora, e bagnatevi alle cremisi acque della dissolvenza assieme a loro...
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