La domanda è la seguente: ad oggi, quale grande artista fa rock d'avanguardia?
Sì, al di là delle etichette post rock, experimental, progressive, penso che abbiate capito a cosa ci si riferisca (oddio, no - non tutti - non si parlava dei Muse).
Prendendo in mano una matita e trovato il primo pezzo di carta con quel poco di spazio sufficiente a scrivere più di una riga e meno di un papiro, ho cercato di elencare i primi artisti che mi venissero in mente, per dare una risposta a quella domanda. Evito però di fare sfoggio della mia conoscenza o ignoranza in materia (ma mi riservo di sporcare un po' dello spazio atto ai commenti successivamente!), e indico immediatamente uno dei nomi che più si rifanno al termine avanguardia prima menzionato: i Neurosis. E con l'occasione, vi parlo del loro nuovo e superbo album, uscito proprio in questi giorni per la Neurot Recordings (a proposito, occhio al link).
Si tratta di un lavoro maturo, quasi un punto d'arrivo, ma assolutamente non definitivo, di questi uomini coraggiosi provenienti da Oakland, San Francisco. Capitanati dalla figura ombrosa e audace del cantante e chitarrista Steve Von Till, i Neurosis possono essere considerati dei veri e propri futuristi del rock: di fronte alle loro opere non riusciamo a distinguere il prototipo, lo studio, la replica o la variante, ma solo il flusso, il volersi protrarre un passo più in là, quello stesso passo che permette loro di fare genere musicale da soli o con pochi altri amici.
La loro musica stavolta riparte dalle esperienze soliste di Steve, forse dalle ricostruzioni della Tribes of Neurot di cui fanno parte, e certamente dal lavoro dello scorso anno con Jarboe, la cantante cospiratrice degli storici Swans, per incamminarsi verso altri sentieri. Luoghi dove esplosioni (l'iniziale Burn), progressioni vorticose (a Season in the Sky), fugaci impressioni acustiche sparse qua e là lungo il percorso, note distorte e prolungate che nel mio immaginario evocano una dissociazione dal resto del mondo, filo dopo filo (Bridges), creano nel loro insieme un tutt'uno, un blocco di pietra che non se ne vuole più andare dal corpo in cui è riuscito non certo sottilmente ad entrare.
L'assuefazione non potevamo prevederla al primo ascolto. Una sensazione che negli ultimi anni qualcuno potrebbe aver provato con il materiale propostoci in varie occasioni da Maynard James Keenan.
The Eye of Every Storm è quindi un lavoro da promuovere a pieni voti, un altro successo nel catalogo della band californiana, da accostare degnamente nella vostra discoteca, accanto agli altri capolavori del gruppo. Per questa musica si arriva altrove.
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