Il malefico Jeff Magnum forse non si è reso conto di quanta gente ancora stia attendendo il terzo capitolo di questa stupenda saga - a dieci anni fa,ormai, risale lo stupendo "In The Aeroplane Over The Sea". Ma a quanto pare questo enigmatico genio non è assolutamente intenzionato a spuntare fuori dal silenzio nel quale sembra essersi rinchiuso, ed è un grossissimo peccato.

Già, perchè ogni canzone dei Neutral Milk Hotel è un infarto emozionale venato timidamente di una ingenuità infantile che difficilmente lascia insensibili.  

Ci troviamo a Ruston, Luisiana. Fine anni '80, piena esplosione grunge. Quattro amici d'infanzia con la medesima passione per la musica: Robert Schneider, Bill Doss, Will Cullen Hart e Jeff Magnum. Suonicchiano un po' tutti quanti, e si trastullano a passarsi cassette artigianali, tanto per vedere se si combina qualcosa.

 STOP!

(al lettore che già sa, o che si smarona a leggere troppo, concedo di saltare questa breve contestualizzazione storica andando direttamente al "PLUTZ!" sottostante).

Qui penserete di aver già capito tutto, e invece, secondo un calcolo pacchianamente probabilistico, posso asserire che l'idea che vi siete fatti è totalmente sbagliata, a meno che non conosciate già i soggetti di cui vi sto parlando. Quindi seduti/zitti e ascoltate.

Dicevo, quattro amiconi che iniziano a pensare a cosa faranno da grandi. Di certo il loro sogno è il medesimo: farsi un gruppetto e scalare il Monte Zion. Ma di certo non possono gettarsi nel calderone comune delle camicie di flanella, forse perchè troppo diversi e raffinati (intelligenti?) per lasciarsi assimilare da una tale fiumana nichilista, forse perchè, seppur sensibili alle sperimentazioni art-rock di Sonic Youth e Minutemen in primis, condividono una anacronistica passione per il pop degli Zombies e dei Beach Boys.

Tutto inizia a prendere forma a partire dal trasferimento della figura chiave di questa storia, Schneider, a Denver, nel 1991, per proseguire gli studi universitari, mentre Will e Jeff vanno ad Athens, Georgia, seguiti a breve da Doss. In questi nuovi ambienti i vecchi amici, continuando a mantenersi in contatto, intrecciano ben presto una fitta rete di collaborazioni ed amicizie con altri compagni di studi ugualmente amanti della musica. Il fermento causato dalla fervente intraprendenza della cricca porta così alla formazione di un vero e proprio Collettivo, "The Elephant Six Recording Company", organizzazione assolutamente indipendente che permetterà la nascita di alcune delle band seminali in ambito indie pop durante gli anni '90: trattasi degli Apples In The Stereo di Schneider, The Olivia Tremor Control di Doss e Hart, più altri seguaci aggiuntisi in un secondo tempo come Elf Power, Of Montreal, Beulah.

E, appunto, i Neutral Milk Hotel.

Non era così scontata la faccenda, del resto.

PLUTZ! (Lettore scazzato! Rincomincia a leggere da qui, ok?)

Jeff è un tipo strano. Solitario, a quanto pare. Non l'ho mai conosciuto, ma mi piace immaginarlo così: uno con la testa arruffata, amante dei maglioni e della cioccolata, forse un poco allampanato ma, in fondo agli occhi, quando guarda il Mondo, una luce che ricorda quella nello sguardo di un bambino a Natale.

Ma quanto dev'essere patatoso, Jeff Magnum. E meno male che non legge Debaser, altrimenti si sarebbe già incazzato a morte perchè l'ho chiamato "patatoso". Ma è l'unico termine che mi viene in mente. E magari colleziona pure peluches.

Per questo primo disco, anno 1996, il nostro genietto fa quasi tutto da solo, chiamando al proprio fianco la saggia mano del pluricitato Schneider in qualità di produttore, avvalendosi inoltre delle sue doti di polistrumentista, più qualche sporadico intervento di amici intimi. Non una vera e propria band dunque, piuttosto il lavoro di un piccolo burattinaio.

Come in molti esordi, anche qui troviamo il meglio degli strambi frutti partoriti dalla mente di Jeff in un lungo arco di tempo. Ancora mancano gli inni strazianti e le festicciole sborone che faranno la fortuna del successore "In The Aeroplane Over The Sea", ma lo spirito allucinato e fondamentalmente simbolista è prepotentemente presente in una chiave decisamente lo-fi e grezza, non per questo priva di fascino: gli amanti dei Pavement sicuramente si lasceranno per lo meno andare in un sorrisetto di compiacimento al suono del basso fuzz e delle chitarre acustiche saturate che evitano ulteriormente al tutto di scadere in un poppettino banalotto. Il pezzo posto in apertura all'album, l'accattivantissima "Song Against Sex", detta in questo senso lo standard per ciò che seguirà, tra giri armonici catchy, una voce molto caratteristica non paragonabile ad altri artisti in circolazione, almeno credo, e una sensazione di freschezza e genuinità diffusa nell'aria. Jeff è anche un ottimo paroliere e i testi, degni del miglior cantautorato, riescono a risultare visionari o malinconici a seconda dell'occorrenza, ma mai banali. Anche una ballata apparentemente innoqua come "Naomi" nasconde tra le righe simboli inquietanti ( Your prettiness is seeping through/Out from the dress I took from you, so pretty/And my emptiness is swollen shut always/Always a wretch I have become /So empty...che parli di un feticista? Mah, forse il perverso sono io).

Frequenti le turbe psichedeliche vicine ad un certo sperimentalismo ossessivo di cui si faranno poi vassalli gli Oneida (la spiazzante "Marching Theme", la coda lisergica di "Someone Is Waiting"), fino a terminare, nei 13 minuti di "Pree Sisters Swallowing A Donkey's Eye", in un'orgia krautiana aotto l'egida di qualche santone indiano.

 Il disco si mantiene dunque tra le coordinate della folk-song sfigurata e dell'ossessione psichedelica, e qui citare ogn singolo pezzo diventerebbe inutile e noioso, in quanto ciascuno di essi rappresenta  un capitolo a sè in un'opera che fa della freschezza e dell'emozionalità le sue armi principali. L'aereo è pronto, dunque, per salpare da Avery Island e solcare i mari. Destinazione? Tuttora ignota. Ma speriamo non rimanga tale.

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