Recensire un disco dei Nevermore non è mai facile, vuoi per quell'eclettismo innato che li ha sempre resi difficili da catalogare, vuoi per la difficoltà di rimanere imparziali nel giudizio di una delle più grandi band di metal moderno che sia uscita dal Nuovo Continente.

Sono passati cinque anni da quel monumento sonoro che recava il nome "This Godless Endeavor", un monumento di magnifica decadenza metallica, magniloquente e colossale. Il suo successore, "The Obsidian Conspiracy", si presenta fin dal titolo come un disco oscuro e feroce, ma (ahimè, direbbero alcuni) si rivela essere tutt'altro. I Nevermore hanno sempre fatto della sperimentazione caparbia e della scelta fuori dagli schemi e dalle previsioni una bandiera, ma il parziale cambio di rotta che si percepisce nella musica del quartetto (ricordiamo la dipartita di Chris Broderick, andato ad affiancare mastro Dave Mustaine nei Megadeth) è di quelli in grado di dividere le opinioni dei fan in maniera radicale.

Partiamo con la produzione ad opera di Peter Wichers, chitarrista degli svedesi Soilwork, già dietro la consolle per il disco solista di Warrel Dane "Praises to the War Machine": pur se appesantita dal "solito", cristallino e perfetto mixaggio del maestro Andy Sneap, appare evidente come la nuova scelta di suoni sia stata volta ad un ridimensionamento dell'irruenza metallica e schiacciasassi del Nevermore-sound che tanto ci aveva esaltato in "Dead Heart in a Dead World", "Enemies of Reality" (la versione, rimasterizzata, badate bene!) e il già summenzionato "This Godless Endeavor". Non mancano rimandi a quei momenti d'oro ("And the Maiden Spoke" su tutte), ma è chiaro come Jeff Loomis, da sempre principale compositore del gruppo, abbia scelto un approccio più naturale e fedele alla forma canzone, di modo da costruire pìù convenzionali tappeti sonori per l'istrionismo canoro del sempre strabiliante Warrel Dane.

Nonostante i motivi di tale scelta rimangano confusi, non si può fare a meno di constatare come in molti frangenti il chitarrista risulti "scolastico" e poco incisivo, dedito ad un semplice esercizio di mestiere, più che ad una composizione sentita e sudata. Duole ammetterlo, ma questo disco dei Nevermore non si risparmia qualche riempitivo che poteva essere evitato ('The Day You Built the Wall'), pur risultando brillante e accattivante ad un giudizio finale. Certo ci sono ancora le sfuriate metalliche pregne di quell'atmosfera apocalittica tanto cara ai nostri, ma si riducono a qualche canzone o ad improvvise impennate ritmiche del biondo chitarrista (un po' deludente sotto il profilo solistico, incappando troppo spesso in ripetizioni scontate). I quattro sembrano voler puntare più ad una musicalità insita nelle canzoni, più brevi, lineari e, sotto un certo punto di vista, accattivanti.                                                        La costruzione complessa lascia il posto ad un'aggressività immediata, fermo restando le ottime prestazioni dei musicisti (Loomis comunque sottotono). Una seconda menzione d'applauso per Warrel Dane, davvero appassionato e coinvolgente in questo disco, tanto nella stesura dei testi quanto nella prestazione vocale, oscuro e con il solito piglio da giullare della decadenza ai suoi massimi livelli.

In definitiva, se avete sempre amato il lato più progressive ed estremo dei quattro di Seattle, resterete probabilmente delusi dalla mansuetudine della chitarra di Loomis su questo album, se invece avete sempre pensato che l'ugola eccezionale di Dane meritasse più spazio per esprimersi (e la commovente ballata 'The Blue Marble and the New Soul' ne è un fulgido esempio) allora molto probabilmente questa trasformazione melodica vi piacerà. Un disco onesto, semplice e, forse, pensato per catturare nuovi fan, magari in vista di un successivo capolavoro "classicamente Nevermore" (Attila Voros, nuovo compagno di Loomis alla sei corde, fa ben sperare per un'entrata in pianta stabile).

Per i fan di vecchia data, forse da sconsigliarsi, per coloro che li hanno scoperti con Dead Heart... un aquisto caldamente consigliato.

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