In una Piazza del Campo di Siena assolata ma non ancora invasa dai turisti americani, quelli seduti tutt'intorno, a raggiera, ne esaltavano l'aspetto naturale a cassa armonica, ho assistito a uno dei concerti più gradevoli di inizio estate. Nel cortile del Podestà lo scorso 19 giugno si sono esibiti tre gruppi, uno in fila all'altro, che insieme formavano la New York University Jazz Quartet and Quintet. L'appuntamento era ospitato dalla Fondazione Siena Jazz ed era gratuito, a dimostrazione della volontà di avvicinare la gente a un genere troppo spesso definito di nicchia, senza tenere conto delle sue origini popolari. Erano gli allievi più dotati del college con i rispettivi insegnanti, sembrava che la scaletta fosse costruita in crescendo, nel senso che dal primo, bravissimo quartetto, si passava al secondo e poi al terzo, raggiungendo un grado di eccellenza massima.

Lo spazio, che sembra di suo uno strumento, con quella torre che si apre ripida verso il cielo, è fatto apposta per esaltare voci e suoni e si riempie velocemente di curiosi e di amici venuti da lontano. Prende posto sul palco George Garzone al sax tenore. Viene dal Massachussetts e insegna alla Berklee School of Music, oltre alla NYU. Esegue degli standard, ma anche dei pezzi suoi, insieme ai colleghi alla tromba, al sax alto e alle percussioni. Prima la disciplina con alcuni brani di Miles Davis reinterpretati in una versione più accelerata, con il sax che esce potente e si fa dolce nel finale. Improvvisazione e metodo, sempre in equilibrio, ci si lascia andare ma la situazione rimane sotto controllo.

Chi invece coinvolge il pubblico con introduzioni e commenti e poi con la musica è l'altro docente, Jean-Michel Pilc, al pianoforte, insieme a due sassofonisti giovanissimi, talentuosi, forse i più applauditi tra tutti quanti. Come una session lunghissima, un brano solo all'inizio, prolungato all'infinito, le dita di Pilc sono aggressive sui tasti, la cascata di note esce potente e travolge tutto, la gente si fa trasportare e batte le mani, il pezzo rimane aperto alle continue improvvisazioni, i due sax ingaggiano una gara di virtuosismo dentro al concerto e le certezze musicali non esistono più, scompaginate e reinventate in soluzioni nuove, secondo la cifra stilistica del jazz.

La terza band, un quintetto, fa da suggello a quanto ascolato in precedenza. Sul palco Dave Schroeder, che preferiesce deliziare i presenti con un inizio soft, lento, solo il sax tenore a riempire l'aria. I compagni intervengono più in là, quando l'atmosfera si è già surriscaldata. Solo allora la performance prende quota, basso elettrico e chitarra si fanno più grintosi e si mescolano alla batteria con quelle poliritmie in salire che avvolgono la piccola area del concerto. Suoni sincopati seguiti da più impetuose esplosioni di note, intermezzi raffinati, per poi ripartire con il piede sull'acceleratore del sax a entusiasmare la platea.

Ho visto scorrendo il calendario che a fine luglio verranno Claudio Fasoli e Furio Di Castri. Da non perdere.

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