Ricordo bene il giorno in cui comprai "Ecco", a tutt'oggi l'ultimo album in studio da solista di Niccolò Fabi (ma fra un paio di settimane arriverà il suo successore, di cui già si conoscono titolo, copertina e singolo apripista). Era l'autunno del 2012
Fu il primo disco da me comprato di Fabi, in realtà, benchè lui fino a quel momento già mi avesse da sempre ispirato molta simpatia ed un profondo senso di rispetto. Il rispetto per l'artista serio, sincero nella sua ispirazione e immune agli imbarazzanti compromessi commerciali da cui troppi suoi colleghi magari "partiti bene" si sono lasciati nel tempo irretire; il rispetto per l'uomo impegnato - con discrezione mai gridata, a differenza di tanti altri - nel sociale. Capace altresì di affrontare il dolore personale più terribile con immensa, nobile dignità.

I suoi testi sono sempre stati ben curati, cantautorali nel miglior senso del termine, certo; eppure mai Fabi era riuscito a coinvolgermi davvero fino in fondo con la sua opera, prima di "Ecco". Questo disco allora quasi mi travolse con la sua purezza e intensità. E continua a farlo.

Testi tutti splendidi, profondi eppure diretti, immediati, mai criptici ma anzi empatici e intrisi d'umanità e condivisione. Testi di una bellezza spesso dolorosa, carichi di poesia (come, ma è solo un esempio tra i molti, le struggenti immagini degli oggetti che in "Ecco", title track e brano finale di impatto impressionante anche per interpretazione vocale, si ricompongono e tornano alla vita originaria in un metaforico eppur vivido rallenty all'indietro che l'io narrante ben sa essere - purtroppo - irreale); a volte invece i testi si caricano di una filosofia del ricordo nella quale potersi cullare (penso a "I cerchi di gesso", che sono poi i segni lasciati sulle schiene di noi "anziani", nati negli anni '60, dai cancellini delle lavagne anni '70-'80).

Nel brano "Indipendente", poi, trova spazio una satira (tanto più incisiva in quanto non beffarda nè tantomeno greve ma finemente ironica) verso il voler perseguire tutti noi oggi, incessantemente e indefessamente, l'obiettivo della più totale indipendenza (dai gioghi veri ma anche da quelli che solo percepiamo - erroneamente - come tali) finendo poi con il rendersi conto - parole di Fabi - che "la felicità non dipende dalla cosiddetta indipendenza, che è cosa ben diversa dalla libertà in senso assoluto".

Tornando all'interpretazione vocale di Niccolò Fabi in questo album ricordo che all'epoca del primo ascolto mi meravigliò alquanto. E non solo nella graffiante e viscerale "rocaggine" del finale di "Ecco" ma anche in altri momenti nei quali l'urgenza dell'esprimersi travalica la già ampia ricchezza dei testi e diventa un graffio di volta in volta colmo di dolore, di tenerezza, di amore.

E non si pensi neppure che questo sia il solito disco del meritevole cantautore italiano impegnatino, bravo coi testi ma musicalmente un po' sciapo. Già i soli archi - sublimi - nel finale di "Elementare" (altro brano il cui testo va centellinato, da quant'è profondo e commovente), già la sola parentesi rabbiosa al sapor di progressive in "Ecco" sono gioielli di una corona musicale che parecchi ne annovera, dando colore e sostanza ulteriori a canzoni che resteranno nel tempo.

Premiato nel 2013 con la Targa Tenco come miglior disco dell'anno. Le Targhe Tenco spesso negli ultimi anni si sono - ahimè - dimostrate un residuato polveroso di quel passato remoto dominato dal cantautorato più duro, puro e disadorno ma senz'altro non è questo il caso.

Carico i commenti...  con calma