Niccolò Fabi è uno dei pochi cantautori italiani che riesce ad avere un buon successo di pubblico e a fare dell'ottima musica. Forse per la sua aria da intellettuale e non più giovane, forse per la sua schiettezza disarmante nello scrivere canzoni, forse semplicemente perchè è il migliore. O forse ancora perchè conosce davvero la musica di chi l'ha preceduto: dall'amore per Alberto Fortis (del quale il padre Claudio era il produttore), a quello per Bach, da quello per "Breakfast in America" a quello per Bob Dylan, i Beatles e i Police. E tutto questo si avverte nelle sue canzoni, piene di verità e di leggerezza.

Questo "Sereno ad ovest" nasceva dalla necessità di scrollarsi di dosso quella immagine di giovanotto di belle speranze, amato dalle mamme quanto dalle figlie. E questa necessità si è tramutata in un lavoro fatto e suonato in casa con pochissimi mezzi tecnologici, pieno zeppo di spunti interessanti e di riflessioni tipiche, ma non ovvie, di un ragazzo che ha da poco superato i trenta. Va bene, c'è il singolo orecchiabile e piacevole che si fa piacere già dopo il primo ascolto ("Se fossi Marco"), ma tutto sembra un'indagine fatta su se stesso e sui propri comportamenti. Emblematici sono il brano di apertura, "Qualcosa di meglio", in cui Fabi si rivolge ironicamente e senza rancore ad una ragazza ("Ho mendicato a lungo un tuo sorriso perchè mi incantano i tuoi denti") e la bellissima "Sembravi", un vero e proprio sfogo causato da un'amicizia svanita ("Se avessi saputo che tu non avresti mai avuto stima di me, avrei passato molto più tempo con il tuo cane"). L'incantevole "Acqua" riflette lo stato d'animo di chi è seduto in compagnia dei propri pensieri e dei propri tormenti, richiamando forse involontariamente problemi molto più seri e più grandi come quello della droga ("Vino, bevo vino e lo mando giù, così dimentico, mi dimentico, ti dimentico"), mentre l'accattivante ed incalzante "Scherzo" mette a nudo coloro che convivono con una voluta doppia personalità ("Scherzo, prima uccidi e poi tu dici scherzo. Sei un buffone col coltello in mano, io non so giocare insieme a te... Ma è poi davvero un gioco?").

Insomma Fabi non va per il sottile, parla sempre in prima persona, trasmette la convinzione che mentre lo stai ascoltando tu sei il suo interlocutore. Sa essere duro, sa essere ironico e sa essere meravigliosamente romantico come in "La politica" ("La politica non è più la ginnastica delle mie idee. E' forse strano a dirsi, ma il mio governo unico sei tu") o nell'amore senza volto e "metallico, senza altri odori" di "Zerosei" (06 è il prefisso della sua città natale, Roma). "Il mio stato", brano che chiude davvero degnamente il disco, è quanto di più schietto e introspettivo Fabi potesse scrivere ("Per quanto mi ritenga contento di avere previsto e ottenuto il mio risultato, il colore delle mie medaglie non è mai intonato con quello del mio vestito") con chitarre acustiche in primo piano, come in gran parte del disco, e voce mesta e vera che spingono il pezzo su livelli di qualità molto alti.

Senza dubbio un ottimo disco, autoprodotto e suonato quasi del tutto dal cantautore romano (chitarre, basso, batteria, tastiere e pianoforte) che si rivela in tutta la sua bellezza solamente dopo alcuni ascolti, poichè le melodie e i suoni sono piuttosto ricercati (da notare la ritmica di "Acqua"). Fabi scrive grandi canzoni, ma soprattutto è uno dei pochi ad avere ben presente il concetto di album, seguendo un discorso logico sia sonoro sia scritto che non cade mai davvero nella banalità che circonda tutt'oggi la musica italiana e non.

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