"L’uomo venuto dall’impossibile", di Nicholas Meyer

Innanzitutto di questo film è degno di nota il titolo della versione italiana: "L’uomo venuto dall’impossibile".

Titolo originale: "Time after time".

Già questo è sufficiente a far capire che si parla di una pellicola che merita attenzione.

Altro dettaglio lodevole è come la sceneggiatura se ne sbatta ampiamente di dare una spiegazione, anche lontanamente logica, a quanto accade. Il film narra infatti di H.G.Wells, scrittore inglese realmente esistito, autore tra gli altri di “La macchina del tempo”, a cui è liberamente ispirato il film.

Wells, durante una cena tra amici nella Londra di fine ottocento, annuncia d’aver inventato una macchina che gli permette di viaggiare nel tempo. Tra gli invitati però vi è Jack lo squartatore che, scoperto dalla polizia, la usa per fuggire nel 1979, a San Francisco. Wells lo segue, con l’intento di fermarlo ad ogni costo.

Spettacolari sono gli effetti speciali e in particolar modo la scena in cui Wells viaggia fino al futuro. In un turbine d’immagini psichedeliche vengono riassunti, tramite le voci di cronisti radiofonici e televisivi, i principali eventi del XX secolo, fino al 1979, ovviamente.

Spettacolari sono i paradossi che questo film inscena, senza preoccuparsi minimante delle evidenti contraddizioni presenti nella trama, bisogna limitarsi a non fare domande e a credere, come bisognerebbe fare per ogni buon racconto di fantascienza.

Spettacolare è l’interpretazione di Malcolm MacDowell, l’Alex di Arancia Meccanica, per intenderci, che riesce ad essere un perfetto lord inglese di fine ottocento, sperduto in un’ America confusionaria e luccicante di fine anni ’70.

Un film che mischia la storia alla fantascienza, il giallo alla sperimentazione tipica di quegli anni, capace di porre una forte critica alla società odierna, dove persino Jack lo Squartatore è imbarazzato dalla tanta violenza gratuita.

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