Un sussulto, uno scatto epilettico fa sembrare le coperte il groviglio di un incidente stradale con decine di morti. Un brivido lungo quando l’intero corpo mi fa svegliare completamente nel tempo di un secco schiocco di dita. Non le posso vedere ma le pupille, viste da fuori, devono essere uno spettacolo capace di rizzare i peli di un appassionato di film horror. Annaspo alla ricerca di aria. Angoscia pura. Il sudore lo sento dovunque: nella lenzuola e sul corpo. E’ un tutt’uno con la pelle: sembra che me lo abbiano spalmato ed imprigionato con infiniti giri di una pellicola di cellophane. Sono passati 15 anni, ma il ricordo di quelle notti è vivo e ancora presente.

Il fatto è che non ero pronto per vedere quel film. Troppo piccolo e fragile psicologicamente. Non lo stavo nemmeno cercando: dodicenne, l’ho trovato per caso assieme a tante altre VHS “da grandi” incautamente lasciate in un angolo buio della casa. E così si è incastrato per giorni e notti tra chioma paglierina e mandibole. Mi sforzavo di addormentarmi pesando alla bella moretta, quella timida dal nasino all'insù, della quale mi ero invaghito o all’estate in arrivo. Il risultato era solo procrastinare quell’orrendo e tremendo risveglio nel cuore della notte.
Mio padre il compleanno dell’ottobre 1962 se lo ricorda bene: come il culmine del periodo più pesante ed inquietante della sua vita. Era giovane, ma maturo per capire a pieno la situazione politica estrema del periodo. Non era solo una remota possibilità, ma un’ipotesi terribilmente plausibile. Mi dice adesso, con una rassicurante tazza di caffè in mano, che la tensione di quei giorni è stata senza pari.

THE DAY AFTER

“The Day After” comincia dove diversi film hanno posto i titoli di coda. Praticamente è una pellicola ambientata nella famosa frase di Einstein: “se dovesse scoppiare la terza guerra mondiale, la quarta verrebbe certamente combattuta con le clave e pietre”. Quei bottoni rossi, talvolta accarezzati e perfino sfiorati (come già accaduto a Berlino nel ‘48/'49 e nella già citata crisi dei missili di Cuba), e quegli interminabili codici alfa-numerici vengono premuti e digitati. Le testate partono da est a ovest e da ovest a est. E stavolta non c’è Superman o un Bruce Willis, pronto a fermare la folle corsa ad una manciata di secondi dall’impatto con eroico sacrificio. I funghi si ergono chilometrici e si appropriano, tiranni, della stratosfera e spengono il sole

Non c’è morale. Non c’è dibattito su chi sia il colpevole. Una telecamera riprende semplicemente una delle innumerevoli città bersagliate: nella fattispecie facciamo la conoscenza di alcuni sopravvissuti in Kansas che non hanno avuto la fortuna di rimanere vaporizzati in un istante. E’ la descrizione di un supplizio, di un vortice, di un’acuta e fulminea spirale verso il basso. L’umanità, messa di fronte alla tragedia assoluta, non prega ma torna improvvisamente indietro di milioni di anni: al suo stato animalesco, con Darwin in prima fila. Pronta ad uccidere senza ritegno e rimpianti per un pugno di calorie. Nel grigio perenne e nel freddo nucleare la razionale voglia di suicidio si scontra con l’illusoria tentazione di poter resistere. Tutto è contaminato. C’è solo disperazione e morte. Ovunque.

Per una volta non spendo più di una riga per giudicare la pellicola da un punto di vista tecnico/recitativo perché passa tutto in secondo piano di fronte ad una trama di tale intensità emotiva. Basta e avanza dire che l’opera è ben resa, effetti speciali compresi.

La differenza tra “The Day After” e tutti i film catastrofici del lustro che ho visto è grande e palese. Ultimamente si gioca spesso una gara tecnologica per fare cadere, nel modo più spettacolare possibile, Statua della Libertà & Co., per arrivare sul baratro e poi salvarci inaspettatamente in corner. Qui, invece, non vi rimarrà impressa la potenza devastante delle esplosioni atomiche, la furbizia e la leadership dell’eroico protagonista. In “The Day After” rimarrà prepotente il fotogramma di una ciocca di capelli che si stacca come fosse paglia secca: la vita che se ne va. Questo film ci inquieta per la mancanza della minima parvenza di una briciola di speranza. Se non lo avete mai visto ve lo consiglio: vi farà riflettere, vi scuoterà per la consapevolezza che non si è di fronte ad una catastrofe naturale; un qualcosa di imprevedibile, e quindi giustificabile come la “giustizia di Dio”. La nostra fine, al contrario, ce la siamo costruita ed impacchettata da soli e con sgargiante confezione regalo.

A suggellare il tutto, poco prima dei titoli di coda, ecco tuonare lapidaria la chiusa scientifica del film che ci ricorda, prima di darci la buonanotte, che quanto visto è una simulazione infinitamente più tenue e rosea rispetto alla realtà post-nucleare nel caso dovesse scoppiare per davvero una terza guerra mondiale.

ilfreddo

Carico i commenti...  con calma