Ciao ragazzi, proseguendo il nostro viaggio nella musica "minore" italiana, facciamo oggi tappa da Nicola di Bari (Michele Scommegna, n. 1940), cantante ed autore che ebbe il suo maggior successo fra il 1970 ed il 1972 per finire poi in un graduale, ma inesorabile, anonimato, almeno qui in Italia, pur compensato da notevole e duraturo successo in Sud America.
Mi fa piacere parlarvi di lui in quanto, a differenza di altri artisti giustamente dimenticati dalla maggioranza di noi, si tratta di un serio e preparato professionista, dalla voce ben impostata e calda, i cui pezzi non sono banali, né per quanto riguarda l'accompagnamento musicale, né per quanto concerne i testi e le tematiche trattate. Questa antologia, uscita negli anni '70 a sigillare la prima e più ricca parte della sua carriera, contiene il meglio della sua produzione e mi consente di analizzarla, seppure in doverosa sintesi, con voi e per voi.
Sotto il profilo prettamente stilistico, la musica di Nicola di Bari traccia un ponte ideale fra il melodismo neoromantico di Salvatore Adamo, di cui si riprende la compostezza espressiva di fondo, l'alternarsi di strofe dal tono moderato e ritornelli maggiormente sostenuti ed enfatici, e certi umori mediterranei, che spiccano soprattutto nella predominanza di chitarre pizzicate, ben sorrette da percussioni e tastiere in grado di creare un'atmosfera di perenne sospensione ed attesa, che si adatta perfettamente ai testi del Nostro.
Nel confezionare questi prodotti, del resto, Nicola di Bari si appoggiava all'etichetta di Mogol e Battisti, ben fruendo della professionalità di vari sessionman ed arrangiatori dell'epoca, che "vestivano" i brani dell'artista d'origine pugliese in maniera decisamente azzeccata.
L'aspetto più importante dell'opera del cantante va tuttavia rinvenuto nella poetica di fondo che si respira nelle sue canzoni, quasi tutte dedicate, in prospettive diverse ma complementari, alla tematica della "separatezza" e del "distacco".
Mi sembra infatti di scorgere nei brani di Nicola di Bari un'attenta e non scontata riflessione sui processi di separazione e distacco che ogni individuo vive nelle varie fasi della propria vita rispetto ai propri punti di riferimento, ed una disincantata, ma per questo struggente, consapevolezza dell'impossibilità di un ritorno all'armonia originaria, alla serenità (forse immaginata, forse no) che ogni essere umano ha provato nei primi tempi ed anni della sua vita, memore dell'unione originaria con la propria madre, con la propria famiglia, con la propria terra e con il se stesso di un tempo.
In Nicola di Bari il distacco appare spesso come una necessità indefettibile, che l'autore cerca ora di legittimare, ora di giustificare, ora di ricucire, senza tuttavia riuscire mai del tutto in un'opera che appare impossibile, quasi titanica. Vi è la razionale accettazione della scissione e l'irrazionale tentativo di ricucirla, destinato naturalmente al fallimento.
A riprova di quanto notato, si pensi alla celebre "Vagabondo", in cui il distacco viene giustificato e razionalizzato nell'ottica dell'emancipazione e libertà, dei futuri possibili; all'altrettanto nota "Il cuore è uno zingaro", in cui si narra della scissione di una coppia e di un vano tentativo di riunione destinato ad infrangersi nella volubilità dell'anima; alla splendida "Zapponeta", cavalcata elettroacustica in cui il migrante torna nel paesino natale con la consapevolezza di non poter più esserne parte integrante. Un discorso a parte meritano "Chitarra suona più piano", in cui si assiste ad un tentativo apparentemente riuscito di riconciliazione di due amanti, in un'atmosfera notturna che lascia però il dubbio della fugacità del rapporto, destinato a svanire con l'alba, e, ancora "I giorni dell'arcobaleno", brano in cui la perdita della verginità di un'adolescente viene descritta con i toni malinconici del precoce ed effimero distacco dalla propria infanzia.
Musica per migranti dunque, nello spazio o, semplicemente, nell'anima.
Migrantemente Vostro
Il_Paolo
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