Nicolas Winding Refn, regista danese indipendente rimasto un punto di riferimento per pochi appassionati fino all'uscita di "Drive" nel 2011 con Ryan Gosling come protagonista, un film ipnotico, calzante, trascinante e imperdibile, un film magnifico che ha lanciato definitivamente il nome del regista, il quale a 43 anni ha già un bel groppone di filmoni sulle spalle.
Dopo il grande successo di "Drive" e dopo che tanti cinefili si sono schierati dalla parte di Refn tutti si aspettavano una sorta di seguito di "Drive", o per lo meno una rappresentazione ironica della realtà come era stato fatto in Bronson. Refn manda affanculo tutti e fa tutt'altro: "Solo Dio Perdona - Only God Forgives", distrutto dalla critica, questo pezzo d'arte segna un punto d'arrivo per Refn e a mio parere il suo capolavoro definitivo, un modo di far cinema deciso, sicuro, che va fino in fondo nelle proprie idee, che non sbaglia mai e che arriva al punto. Un qualcosa di perfetto, un modo di far cinema mai visto prima. Un modo di far cinema al quale non siamo più abituati, noi popolo del "Cinema per farci due risate con gli amici e via".
Un capolavoro, e non fraintendetemi, dicendo che Refn ha mandato a fanculo tutti non mi riferivo ad un cambio di stile, anzi, in questo film c'è tutto Refn: c'è l'estrema raffinatezza con la macchina da presa che alterna momenti statici a grandi momenti di camera, c'è la violenza usata come un mezzo per creare delle vere opere d'arte fatte a sequenza cinematografica, ci sono varie punte d'ironia, c'è una tagliente critica alla società odierna ed un'innata voglia di far impazzire lo spettatore medio portandolo fuori careggiata. Ci sono le luci al neon, i colori primari spruzzati su tutto il quadro dell'immagine e le inquadrature taglienti, distaccate ma che al tempo stesso ti fanno entrare nel film come sotto ipnosi: questo film è Refn al massimo.
Silenzi, tantissimi silenzi, il primo dialogo non dovrebbe arrivare prima di dieci minuti dall'inizio del film, due parole e poi via, si riparte con sguardi, carellate, inquadrature morbose di interni e scorrazzate per gli esterni illuminati di Bangkok; la fotografia di questo film è eccezionale, una delle migliori che mi sia mai capitato di vedere in un film, le strade di questa città orinica, quasi magica potremmo dire, sono riprese alla perfezione e ci danno un vivido senso di realtà e di terrore che attanaglia ogni angolo di strada, oltre che un senso di fatalità che pervade tutto il film: una fatalità che va a braccetto con la moltitudine di possibili interpretazione e vari significati che questo spettacolo praticamente muto mette in scena. In questo film la violenza è esplosiva: scene in cui gli uomini se la danno di santa ragione a suon di katane, spilloni o con le nude mani, le nude mani che in questo film Refn riprende con grande morbosità, è stato lui stesso in un'intervista a dichiarare "L'idea per il film mi è venuta immaginandomi un uomo che stringe delle mani chiudendole a pugno. Dentro questi pugni è racchiusa la violenza distruttiva dell'uomo, se a un uomo venissero tagliate le mani sarebbe un animale inoffensivo, i suoi istinti primordiali non troverebbero più sfogo." detto fatto, questo film è un affresco della violenza, della rabbia repressa, del bisogno d'amore del protagonista, un Ryan Gosling che spiccica sì e no due parole nel film e che riesce a dir tutto solo con gli occhi, osservando la realtà quasi da dietro un vetro, in preda a incubi che sembrano usciti da un film di David Lynch e ostentando un amore per una ragazza che non osa nemmeno toccare, se non in momenti d'ira.
E poi abbiamo anche l'amore per la madre, una matrigna, una strega, una persona cinica che se ne frega delle condizioni degli altri, una macchina che pensa solo ai soldi: l'incarnazione dell'occidente, un arrivo che sconvolge la religiosa spiritualità di Bangkok, un paese dove la violenza non è mai fine a se stessa, dove viene usata dalle persone solo come risposta a violenze altrettanto gravi; e gli insulti rivolti dalla crudelissima Scott Thomas a dei perfetti sconosciuti del posto sono l'incarnazione della nostra ignoranza, del nostro essere così "evoluti". E infine abbiamo lui, il Dio del film che viene nominato nel titolo: quello che sarebbe il villain del film... sempre se fosse un film comune uscito da una catena di montaggio; è lui il thailandese sopra tutti, è lui la presenza spirituale del film che osserva ognuno dall'alto: è come un giustiziere, risponde alla violenza con altrettanto fervore e crudezza, ma lo fa seguendo onore e gerarchia, è lui il capo di tutto, è lui l'essenza del film, il fato che regna su tutti noi, questo senso di impossibilità di cambiamento che pervade ogni scena, questo naufragio che sembra inevitabile, questo susseguirsi di sguardi, di sentimenti inespressi e di scoppi di violenza, di scene che sono destinate a diventare cult, sparatorie, scontri e tanti, tanti momenti in cui godersi ciò che dovrebbe essere il cinema: l'arte di riprendere la vita e di mandare un messaggio allo spettatore. Refn c'è riuscito, e volendo mandare molto probabilmente un solo messaggio è riuscito a farne arrivare una moltitudine, in un film curato sotto minimo aspetto e inconfondibile con qualsiasi altro film fatto fin'ora. Un capolavoro; astenersi spettatori della domenica, la reazione sarebbe quella degli spettatori della sala in cui sono stato io: "Che cagata questo film, lo dicevo io, dovevamo vederci Una notte da leoni 3!" - "No ma che dici, Fast & Furious 6!" - "Ou, ma quando esce Iron Man 4?"
Ma piuttosto... Refn, confidiamo in te e nei tuoi prossimi progetti. Sei un grande. Grazie per il tuo grande cinema, a nome di tutti noi appassionati di veri film fatti col cervello e non con la mano sulla calcolatrice e il dito pronto per censurare. Cinema senza mezzi termini, cinema puro, un film che va fino in fondo, un film che tiene incollati alla poltrona, arte pura, un capolavoro con la C maiuscola!
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