Vedendo Refn, è difficile non pensare anche solo per un momento che celi qualche sotto-patina di disagio mentale e/o autismo. Questo danese, spiegoni al carico del quale non credo siano più necessari, da ragazzino (manco a dirlo!) disagiatissimo e, nell'ordine: dislessico, daltonico e incapace di rapportarsi al meraviglioso mondo femminile-madre esclusa obvz-è diventato uno degli artisti più cazzuti della contemporaneità.

Ho appositamente evitato il termine "regista", visto che la china presa da Refn, a questo punto della sua carriera nel mondo del cinema, ha decisamente poco a che fare con il mestiere registico inteso nel senso comune del termine. Dopo l'inizio folgorante con i tre Pusher, il buon Bleeder, Bronson & Valhalla Rising e l'approdo pop-hollywoodiano di Drive, seguito da quello sputo in faccia alla logica di mercato che è Only God Forgives, il nostro danese ha definitivamente deciso di lasciare che sia l'estetica a fare del suo cinema Arte. Al di sopra della sua comunque ineccepibile tecnica registica si staglia un approccio estetico devastante, annichilente, capace di far arretrare qualsiasi senso critico o remora, riserva o rimasugli da consueto raziocinio di spettatore per far vorticare in caduta libera i nostri sensi nel suo idillio. Per coronare la nostra discesa negli Inferi del suo (compiaciuto, perchè no?) piacere perverso, Eden cinefilo ribaltato, ci vogliono ovviamente le musiche di Martinez, mai così essenziali (nel senso di fottutamente NECESSARIE) come nel caso di questo Neon Demon. Una miscela di synth 80s, techno, minimal dream electro pop che trascina, cavalca, stride, ammalia, soverchia.

Le scene abbacinanti, magistralmente costruite nella loro drammatizzazione visiva e sonora, si sprecano. L'unione perfetta di luci, musiche, immagini accompagnate e supportate da interpretazioni della Madonna tra cui, oltre alla virginale Fanning, spunta un Keanu Reeves devastante, fanno di The Neon Demon un ideale compendio dello stato dell'arte a cui Refn e la sua macchina da presa sono approdati. Secondo le sue stesse affermazioni, in un mondo dove l'intrattenimento diverrà sempre più rapidamente un'esclusiva priorità di Internet, il cinema e le sue arti fioriscono e possono fiorire solo in nicchie di personalità dove il potenziale espressivo sia liberato al massimo grado di tutta la sua individualità e singolarità. L'approccio del regista, di chi fa cinema, deve farsi necessariamente unico, originale, totalizzante nel suo perseguire l'ideale stilistico e stilizzante; non per questo negando le proprie infulenze e/o i furti... e difatti Neon Demon ricorda molte altre pellicole: sono stati fatti i nomi di Argento e Schrader, di Lynch (nome già accostato a Refn in passato), fatto sta che considerazioni del genere lasciano il tempo che trovano. Così come eventuali tentativi di presentare una trama che, oltre a non contare su una vera e propria sceneggiatura (ipse dixit), potrebbe schifare un certo tipo di spettatore alla stregua di molti altri dettagli e momenti di un film per tutta la durata del quale non ho tuttavia potuto esimermi dalla catarsi. E chi questa catarsi non la colga, mi dispiace ed è innegabile, ha dei deficit rispetto a evoluzioni possibili e glorificanti di questo linguaggio.

Non è più solo violenza, non sono più solo i colori o i tempi, la musica, la curatezza delle singole parti ad innescare le catarsi di Neon Demon, ma l'insieme di esse e la loro sovrapposizione in un caleidoscopio di suggestioni, simbologie, disagi che non è affatto ostico come molti vorrebbero far credere: è accessibile, e si deve diffondere, si diffonderà. Nelle vostre retine prima e nei vostri pensieri, sogni, ricordi. Film sulla bellezza? Atto d'accusa, trionfo di grottesco e sarcasmo? Glamour-horror-art house exploitation? Suicidio artistico? Masturbazione? Overdose di neon? Puttanata, collage delirante? Spot pubblicitario con tanto di presa per il culo? ...

... Postmoderno?...

Fottesega. The Neon Demon è un'opera d'arte. Ma non "video-art" o cose così.

Un'opera d'arte.

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