Perchè dedicare un disco ad una paesino del New Jersey di poco più di 5000 anime? Perchè ci vive Jack Nicholson? O Danny De Vito? Perchè ci è nato Bruce Springsteen?
Lei non lo ha fatto per questi motivi. Lei in quel paesino ci è nata, è cresciuta, si è formata e ne va così orgogliosa da dedicargli il suo primo disco.
Non si tratta dell'ennesima pop-girl made in Usa, iperprodotta e “sintetica”, dell'ennesima falsa rock-girl dissoluta sbandata, ma di una cantautrice purosangue, come da tempo non se ne sentivano. Nicole Atkins definisce se stessa come una cantautrice pop-noir e ascoltando il disco, questa pare una giusta – seppur semplicistica – definizione.
Il disco racconta di uno spicchio di mondo, che parte appunto da Neptune City, parte dalla vita della stessa Atkins, da queste piccole storie che potrebbero essere le storie di molti. Il tutto, in una chiave a volte ironica, molto spesso malinconica, sempre emozionante. L'atmosfera musicale è varia, ma tenuta insieme da uno stile molto personale. E' presente un certo country, psichedelia '60, atmosfere da musical, tracce di soul, ma la personalità di Nicole Atkins emerge e lega alla perfezione il tutto.
Diretto, molto orecchiabile e coinvolgente è il pezzo che apre il disco: Mayebe Tonight, dove ritornano alla mente le Ronnettes, uno dei momenti musicalmente più “facili”del disco, ma non per questo di minore qualità. Strana la sensazione di gioia e malinconia che il brano riesce a suscitare, nel suo domandarsi se “cogliere l'attimo”. Passa piacevolmente l'ascolto di Together were both alone, che con il suo pomposo arrangiamento ci porta ad uno dei brani più belli ed emozionanti del disco, passato qualche volta per radio (fortunatamente, anche se spesso a notte fonda) e anche in nei canali musicali televisivi ovvero The Way it Is: musicalmente legato ad una certa tradizione americana (come detto in precedenza, tra musical e '60), qui la voce di Nicole Atkins si esprime con una forza ed un vigore davvero emozionanti, il timbro è davvero bello, lontano da quegli “squittii” oppure da inutili e forzati “gorgheggi” che spesso si è costretti ad ascoltare. Una storia, una storia d'amore, di tormento e di ricerca interiore, ma tutta molto “noir”.
Cool Enough, il cui testo, sempre ispirato da storie reali, tratta della percezione e del giudizio sulle persone che cambia dopo alcuni eventi: ispirata ad un professore finito in carcere dopo una relazione con una sua allieva mantiene musicalmente un livello molto alto, ricca di arrangiamenti, ad un intro cupo e quasi ipnotico, si arriverà ad un finale pieno, coinvolgente. Dopo la bella e malinconica ballata War Torn e Love Surreal (brano di cui non avremmo sentito forse la mancanza), si arriva alla bellissima Neptune City, struggente dedica dark alla sua piccola città, e a tutti quei microcosmi che tanto influenzano la vita di ciascuno di noi.
La sdrammatizzazione arriva con i cori di fanciulli di Brooklin's On Fire, mentre Kill the Headlights è quasi un ponte, tra l'oggi e le sonorità sixties del finale del disco, quella Party's Over dalla voce sognante ma mai flebile.
In questo disco, ricco di suggestioni, troviamo tanti riferimenti (si potrebbero aggiungere i Mamas and Papas, Roy Orbison, Badalamenti ecc.) ma è certa l'originalità, come certa è la classe vocale, compositiva e il fascino di questa nuova regina, non del pop (giammai!), ma del Pop-Noir.
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