All’alba del quarto di secolo del terzo millennio la lezione dei troppo presto dimenticati Soundpool, pionieri dell’allora impensabile fusione di shoegaze ed elettronica dalle tinte funk-disco, sembra essere penetrata nella grammatica musicale delle nuove generazioni di band votate all’esplorazione di territori imbevuti di feedback e riverberi. Dalle ceneri dei Soundpool sarebbero in seguito sorti gli Stargazer Lilies, che avrebbero abbandonato questo tipo di ibridazione a favore di sonorità più volatili e rarefatte, ma nel frattempo si preparava l’avvento di una nuova ondata di band in cui l’influenza più o meno dichiarata del dreampop e dello shoegaze di matrice elettronica andava di pari passo con un piglio innovativo e postmoderno, sperimentale e al contempo eminentemente pop (anzi hyperpop), e la cui cifra caratteristica consisteva nella capacità di attingere ai repertori e ai generi più disparati, mescolandoli, decostruendoli, ammiccando con ironia ai loro tratti costitutivi, plasmandone derive grottesche a scopo di puro divertissement. Pensiamo ad esempio a progetti ambiziosi come Entertainment, Death degli Spirit of the Beehive, un magma di continue metamorfosi sonore condotto all’insegna del frammento e sommerso da strati molteplici di riverberi, ma anche a Mercurial World dei Magdalena Bay, una cornucopia synthpop in cui è impossibile non rintracciare tra il marasma di riferimenti anche una componente per lo meno latamente dreampop, oppure agli antesignani Kero Kero Bonito e in particolare al loro Time ‘n’ Place, dove il j-pop e la musica di ascendenza videoludica degli esordi si arricchiscono di chitarre shoegaze.
All’interno di questo eterogeneo gruppo si sta ritagliando da qualche anno un posto di primo piano una band ancora pressoché sconosciuta in Italia, proveniente dalle brume post-sovietiche dell’Estonia e dalla personalità più umbratile ed introversa, ma non per questo meno audace nella contaminazione di soluzioni stilistiche e linguaggi sonori. Si tratta dei Night Tapes, formazione a tre capitanata dalla cantautrice estone Iiris Vesik, reduce da una breve parabola solista sulla falsariga di Bjork e Regina Spektor, che dopo aver tentato la strada del mainstream (ben tre le partecipazioni all’Eurovision agli atti di wikipedia, con mia somma sorpresa) ha trovato la sua più autentica cifra espressiva tra le falde sinuose di un dreampop di pregevole e cristallina fattura, in grado di trasportare in una dimensione di immateriale e ultraterrena bellezza grazie anche alle sue impressionanti qualità vocali. L’elemento che spicca subito e fa da collante tra le varie declinazioni del sound dei Night Tapes (che, pur avendo all’attivo soltanto una manciata di EP, dimostrano una notevole e precoce maturità artistica) è infatti proprio il cantato della Vesik, impostato su tonalità molto acute e capace di raggiungere ottave altissime pur senza infastidire con eccessiva leziosità, ma caratterizzato al contrario da un estro e una versatilità davvero fuori dal comune.
L’opera prima del trio esibisce il titolo Dream Forever In Glorious Stereo (2019) a mo’ di manifesto programmatico ed è composta dalle tre tracce che danno il nome all’EP. L’inizio di Dream ricorda proprio le composizioni degli Spirit of the Beehive antecedenti alla loro fase più sperimentale e tratteggia fin da subito suggestive atmosfere sognanti dense di riverberi, che sul finale si aprono a un basso pulsante dal sapore funk à la Soundpool, sommerso da un tappeto di synth glitterati. Nei primi secondi di Forever sentiamo per la prima volta la Vesik irrompere in uno dei suoi caratteristici acuti e prendere a intonare una magnetica filastrocca con un misto di ingenua spensieratezza e malinconia, contrappuntata da un giro di basso molto accattivante ancora una volta in primo piano: l’esito può ricordare certi brani di You Will Never Know Why degli Sweet Trip o il sofisticato pop psichedelico di Melody’s Echo Chamber. In Glorious Stereo chiude infine il terzetto in chiave esplicitamente shoegaze, con una maggiore sospensione della sezione ritmica e un wall of sound più stratificato e percorso da venature rumoriste ed echi spaziali, ancora una volta reminiscenti della formula degli Spirit of the Beehive.
Il secondo EP, Download Spirit (2020), è quello in cui si impone finalmente in tutta la sua potenza il virtuosistico gorgheggiare della Vesik, elemento che lo distanzia dallo shoegaze più oltranzista e inaugura la cifra stilistica più peculiare e caratteristica del gruppo. Si comincia con Fever Dream Kids, inno generazionale che avrebbe tutte le carte in regola per diventare un instant classic, un brano che si snoda in un crescendo paziente e ineluttabile fino all’epico climax finale, in cui la voce della cantante sembra librarsi in volo assumendo un’impalpabilità tale da confondersi coi riverberi di synth e chitarra, riecheggiando come il richiamo di un altro universo. Si passa poi alla title track, che è anche il pezzo dalla struttura più palesemente psichedelica della discografia dei Night Tapes, un mantra dal basso ipnotico e reiterato su cui germogliano i vocalismi di una novella Kate Bush in stato di grazia, che a un certo punto si tramuta però in Elizabeth Fraser, dando vita a una coda conclusiva che sembra uno dei parti più evanescenti dei Cocteau Twins. La successiva I Was An Angel mette in scena un fascinoso e nostalgico intreccio di voci che sul finale evapora in chiave ambientale in un paesaggio sonoro impressionista, tra gocce di pioggia e rintocchi di campane, ma con Truly Being Alive il basso incalzante torna a trainare prepotentemente il ritmo, questa volta in una sorta di darkwave molto sui generis, bizzarra e grandiosa allo stesso tempo, in cui si succedono complessi giochi vocali che fanno collidere in maniera totalmente inedita mondi musicali distanti anni luce come quelli di Kate Bush, dei Bee Gees e della Grimes herbertiana di Geidi Primes e Halfaxa. L’atto finale del disco è un brano downtempo intimista e introspettivo più puramente dreampop intitolato In Poly Amber, che sembra spandersi come metallo allo stato liquido increspato da cangianti vibrazioni luminose e con cui i nostri si aggirano dalle parti dell’elettronica di Men I Trust e Washed Out.
Ed è proprio il ramo più rilassato e delicato dell’elettronica che fa capo a generi come la chillwave e l’ambient house a impregnare la prima metà del terzo EP dei Night Tapes, Perfect Kindness (2023), composto da sei tracce, che sembra prefigurare un’apertura verso sonorità più accessibili al grande pubblico, anche se pur sempre eseguite con estrema cura per la scrittura. Ciò è evidente non tanto in Selene, un elegante pezzo dalle sfumature trip hop in cui le distorsioni dei primi due EP cedono il passo ad un deliquio di adamantina trasparenza, intessuto di suadenti synth che danzano insieme alla diafana voce della Vesik in un connubio di estrema sensualità, quanto nei due brani immediatamente successivi, Inigo e Humans, dall’approccio più radiofonico ma costruiti con garbo e rinnovata perizia. Il primo appare come una colorata esplosione di reminiscenze tropicali e pseudo-arabeggianti influenzata dalle produzioni più recenti di Grimes, il secondo è invece strutturato come un anthem dal ritornello molto orecchiabile e memore della svolta pop dei Tame Impala da Currents in poi. Con la seconda metà dell’album si risprofonda però nel lato più notturno, introverso e affascinante del gruppo, che nonostante l’abbandono dei feedback e delle distorsioni shoegaze riesce a produrre perle oniriche estremamente atmosferiche, a partire da Moonrise, un pezzo sfaccettato e multiforme che ricorda un’originale fusione tra l’ethno psych funk di gruppi come i Khruangbin, l’eleganza degli Still Corners di prima maniera e la psichedelia levigata dei Crumb. È tuttavia con gli ultimi due pezzi che si toccano i vertici massimi dell’album, in cui i Night Tapes procedono per sottrazione e sostituiscono alla sovrabbondanza degli esordi una logica minimalista e improntata a un’eterea scarnificazione delle strutture. Perfect Kindness è un placido viaggio tra morbide coltri sospese in un malinconico tramonto autunnale, un incantesimo sussurrato all’orecchio con cui la voce mai così carezzevole e ispirata della Vesik ci accompagna alla scoperta di un mondo abitato da sogni e ricordi di una vita mai vissuta, che con l’attacco della chitarra acustica a circa due terzi del pezzo si eleva a poesia di sublime bellezza. A rincarare la dose ci pensa poi Silent Song, capolavoro di costruzione formale ed equilibrio compositivo, in cui è impossibile non restare ammaliati dall’incedere trattenuto e sinuoso, dalla densità espressiva e dalla stupefacente gamma di sfumature che la cantante riesce a infondere nella sua voce, piegandola a suo piacimento in un tripudio di visionari effetti cromatici condotti all’insegna della malinconia.
L’ultimo EP a cui sta lavorando il gruppo non è ancora stato pubblicato, ma sono stati diffusi tre pezzi che sembrano indicare un tentativo di conciliazione tra l’approccio elettronico e lo shoegaze degli esordi in versione riveduta e corretta, mitigata e aggiornata alle sonorità più attuali. Drifting riabbraccia una dose consistente di riverbero, ma si attesta allo stesso tempo come il pezzo più movimentato e brioso del trio, nonché quello di maggior successo di pubblico, in cui a predominare è la componente synthpop. Loner riprende invece con decisione l’estetica e l’umore shoegaze, innestando abbaglianti riff di chitarra a cascata su una composizione trapunta di tastiere retta ancora una volta dall’abilità vocale della cantante, prendendo in un certo senso a modello quanto fatto dai Kero Kero Bonito e facendolo proprio. Every day is a game parte in modo dimesso e meditativo con un giro di basso accattivante per poi introdurre una chitarra acustica che si fonde sempre di più con tutti gli altri strumenti fino all’incantevole bridge e al picco emotivo finale, in cui come sempre la Vesik dà il meglio di sé consegnando una prova vocale da manuale. I Night Tapes hanno ancora molta strada da fare e devono soprattutto dimostrare di saper costruire un intero album full length, ma se le premesse sono queste e se riusciranno a mantenere nel tempo lo stesso livello qualitativo potrebbero imporsi come uno dei progetti più solidi e interessanti del panorama dreampop post-Beach House.
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