Sono passati due anni dall'uscita dell'ultimo studio-album dei Nightwish, "Dark Passion Play", ed è giunto il momento di dare un giudizio obiettivo ad un album che, vuoi per il cambio di cantante, vuoi per la quantità di generi al proprio interno, ha dato vita a molte polemiche.

Innanzitutto, qualche doverosa precisazione. "Dark Passion Play" non è un'album puramente metal, sebbene sia sicuramente symphonic (se questa sia un'offesa per l'abum o per il gruppo, ai lettori l'ardua sentenza). A coloro che ancora osannano l'ottima cantante Tarja Turunen, è doveroso ricordare che l'ex-cantante era, appunto, solo questo: una cantante. Il lavoro di di songwriting e gli arrangiamenti erano tutti compiuti da Tuomas, Emppu, e, con la sua entrata nel gruppo al posto di Sami Vanska all'epoca di Century Child, Marco. Solo la voce, ultimo, per quanto indispensabile anello della catena, era data dalla Turunen, la quale, per inciso, da quando ha cominciato la carriera solista, pure in patria ha ottenuto solo un quarto del successo dei rinnovati Nightwish. Ultima nota: le canzoni sono tutte scritte dal leader storico della band, Tuomas, come negli album precedenti. Quindi se le sue tematiche e il suo stile non sono di vostro gradimento, allora avrete smesso da un pezzo di ascoltare i Nightwish, oppure, se vi emozionano, vi lascerete scappare questa loro ultima fatica.

L'album, si diceva, non è puramente metal: abbiamo, infatti, il metal, abbiamo il folk, abbiamo il symphonic, abbiamo il gospel, abbiamo il power... Sempre se si sia ostinati nel voler classificare in generi qualcosa di artistico e fondamentalmente legato al sentire come la musica.

L'album si apre con "The Poet And The Pendulum", una canzone lunga e maestosa, in cui l'orchestra lavoora in perfetto connubio con la band, dove vi è un continuo cambio di atmosfera, che svela la sensazione di solitudine dell'artista di fronte allapropria opera e di fronte alla propria morte, in cui il metal è la proiezione dei suoi sentimento più cupi. Da rileggere il racconto "Il pozzo e il pendolo" di E.A.Poe per comprendere ancor meglio l'uso delle immagini e dei temi di questo brano.

Segue "Bye Bye Beautiful" che, musicalmente, prosegue, evolvendolo, il discorso di "Wish I Had An Angel". La canzone vuole essere l'ultimo saluto a Tarja, in qui l'odio si mescola al rimpianto, dando vita ad un ritornello travolgente.

"Amaranth": la terza canzone riprende le tematiche tipiche dei Nightwish, la ricerca di qualcosa di puro e innocente che rifletta il proprio animo. Musicalmente, il brano è abbastanza banale e, senza che ciò ne abbassi affatto il valore, assai orecchiabile nella sua esortazione a cercare la propria verità.

Con "Cadence Of Her Last Breath", ritorna un'atmosfera più dark: la morte torna protagonista e sebbene il titolo possa richiamare gli Evanescence, qui il tutto viene sondato molto più in profondità, musicalmente (la continua presenza dell'orchestra e del coro) e a livello di testo (la morte come ispirazione dell'arte), il tutto in un'atmosfera che riprende da vicino Walt Whitman, il poeta-vate degili Stati Uniti: "O capitano, mio capitano..."

"Master Passion Greed" è il brano più cattivo non solo dell'album, ma di tutta la discografia dei Nightwish ("Slaying The Dreamer" sembra un confetto in confronto). L'odio verso colui che, per loro, ha provocato il cambio di mentalità e la conseguente scissione dal resto della band di Tarja, (il marito e manager) Marcelo Cabuli qui viene espresso con tutta la potenza che i mezzi di questo nuovo album possono offrire: l'orchestra, le chitarre, le tastiere, la batteria e la voce di Marco e del coro. Un consiglio: mai farsi odiare dai Nigthwish.

Dopo la crudeltà di  "Master Passion Greed", Tuomas cerca di impietosirci con un brano utilizzato come dimostrazione delle capacità vocali di Anette, la nuova cantante: "Eva". Il nome della bimba protagonista non è scelto a caso, simbolo di tutte le bambine del mondo, e il brano, se da solo non risulta entusiasmante, certamente nell'album fa la sua ottima figura.

"Sahara" risulta a livello tematico una ripresa decisamente originale delle tematiche fiabesche dei Nightwish di "Angels Fall First" e "Wishmaster": le mille e una notte di fuga e di desiderio struggente non possono che portare ad un epilogo, tragico, ma addolcito dalla speranza di una vita migliore. Il brano è governato dalle tastiere e dall'incessante coro, oltrechè dalla voce schizofrenica, in senso positivi, di Anette, che accompagnerà anche il prossimo brano.

"Whoever Brings The Night", brano scritto nella musica da Emppu Vuorinen, è un brano ammicante e seducente, che mettendo in bella mostra la precarietà dei piaceri carnali mostra quanto essi non siano passibili di disprezzo e che debbano essere vissuti con serietà e rispetto. Musicalmente, la canzone risulta originale negli arrangiamenti ma assai classica nell struttura di base.

"For The Heart I Once Had" è sicuramente il punto dolente dell'album. Se "Amaranth" risultava tutto sommato piacevole, "For The Heart I Once Had" risulta quantomeno fastidiosa se ascoltata da sola, ma anche qui, come nel caso di "Eva" essa è il necessario passaggio all'ultima parte dell'album, meno dark e più riflessiva. Se a livello musicale non risulta né originale, né tantomeno piacevole, la traccia si salva per il testo, uno dei più evocativi e personali di Tuomas.

Arriviamo al brano che fa da contraltare alla pochezza di quello precedente: "The Islander", forse la miglior canzone del plot. Qui il metal non esiste, la traccia si snoda fra soundscapes, strumenti e ritmi tipici della cultura irlandese e nord-europea, il tutto accompagnato dalla chitarra acustica di Emppu e dalla voce di Marco, sorretta verso la fine da un'ispiratissima Anette, i quali cantano ancora una volta la triste solitudine di chi la vita non la vive, la può ormai solo osservare scivolarsene via, anche qui con evidenti richiami a Whitman.

"Last Of The Wild", che segue direttamente "The Islander" è un brano nato strumentalmente che dimostra la grande capacità dei Nightwish di emozionare con la loro musica. Anche qui l'influenza folk si fa sentire, ma il ritmo e la velocità ad intrattenere l'ascoltatore. Da ascoltare, con la traduzione, anche la versione purtroppo rilasciata solo in Finlandia, con le lyrics, cantate dalla singer delle Indica.

Il penultimo brano, forse il più metal, sicuramente il più power del plot, è "7 Days To The Wolves". Qui, come in "The Poet And The Pendulum" una delle ispirazioni più evidenti è Stephen King e la sua saga della Torre Nera, ma non è l'unica: la morte anche qui è protagonista ma come momento in cui viene svelata la vera natura di un uomo. Eroe o vile? "Questa è la  mia chiesa della scelta. La forza dell'amore sta nel sacrificio dell'amore". Abbiamo poco tempo per scegliere, ma sarà questa scelta dare il senso della nostra vita. Dopo la morte "Eroi, vili, mai più". Musicalmente abbiamo un forte impianto power sorretto dall'orchestra che dà vita ad una canzone estremamente dark.

Con l'ultimo brano, "Meadows Of Heaven", ci ritroviamo dopo i "7 Days To The Wolves", in una visione della vita post-mortem che era stata anticipata dalla chiusura di "The Poet And The Pendulum". Un mondo vagheggiato e descritto per pochi flash di immagini, in un'atmosfera sognante, in qui la voce modulata di Anette e l'orchestra, con il supporto di un coro gospel alla fine, fanno il loro lavoro nell'accompagnarci alla fine del Viaggio...

Purtroppo, uno de migliori brani dei Nightwish della Nuova Era, "Escapist", non è stato inserito nell'album, sebbene sia ora disponibile con l'ultima release, il live-album "Made In Hong Kong (And In Various Other Places)". Ritorna in quella traccia il Dead Boy, nonchè il desiderio di fuga dalla realtà, in un " Dark Chest Of Wonders" più veloce ed appassionante.

In conclusione, l'abum si presenta come estremamente vario e ben costruito. Per certi versi può essere visto come l'evoluzione al meglio possibile di quelle che erano le origini più sincere dei Nightwish, quell'"Angels Fall First" che erano state poi abbandonate per prendere a prestito ritmi e sonorità diverse, quelle, forse sì, veramente commerciali. I Nightwish possono sembrare orecchiabili, anche nelle loro canzoni più "semplici", ma non lo sono: testi e musiche vanno oltre all'orecchiabile e provano, non sempre riuscendoci, a toccare qualche corda interna più profonda. "Dark Passion Play" è un'album riflessivo, di alto livello compositivo, che richiede impegno a più livelli: 1. Tempo. la durata di quasi 75 minuti è assai ostica per chi volesse ascoltarlo dall'inizio alla fine senza essere disturbato; 2. Udito: i brani (non tutti) sono complessi nella struttura e nell'orchestrazione; 3. Emozione: se la musica deve essere veicolo di sentimenti e passioni, bisogna essere pronti a riceverle. In definitiva, non è un album che può essere ascoltato con superficialità. Purtroppo, forse proprio a causa di questo, e di alcune pecche in ambito di songwriting, l'album si attesta sì ad alti livelli, ma non eccelsi.

Se "Century Child" e "Once"(con "Wishmaster" che li tallona da vicino) sono veri e propri capolavori, "Dark Passion Play" si avvicina decisamente al loro livello, senza però raggiungerlo. "Oceanborn" risulta, comunque, idealmente superato.

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