Le pelo con meticolosa cura e una volta terminato, con fare compiaciuto, le poggio sul piatto fondo. Bastano un paio di minuti, quelli necessari per tagliare precise fette spesse a forma di punte di lance antiche, e alla mercé dell’aria si ossidano. Prima affondo i denti nella polpa tenera e lascio che il sapore dolce e profumato mi riempia per bene le pareti del palato. Poi, con calma, attacco con fare deciso il formaggio. Mi sollecita la lingua, quasi me la pizzica. I sapori a questo punto ballano, si abbracciano e si esaltano vicendevolmente fondendosi nel loro contrasto. Un paio di morsi e tornano prepotenti in pista fino a quando il piatto non torna nudo.

Non credo sia compito titanico ed arduo scegliere il corretto accostamento delle pere e del cacio puzzolente tra Tarja Turunen e l’armadio a muro barbuto Marko Hietala. I finnici Nightwish, è bene dirlo fin d‘ora, hanno inventato meno di nulla con la loro musica palesemente fondata sui contrasti. Sinceramente non covo un ricordo particolare al disco del quale voglio parlarvi oggi e se la tracklist di “Once” sia qualitativamente superiore a quella di “Century’s Child”,“ Wishmaster” o “Oceanborn” ecc... me ne frega quanto sapere il risultato dei Bucks Vs Nets di ieri notte. Poco. Mi stuzzica, invece, parlarvi di questi 50 minuti spalmati su 11 tracce per un altro motivo. Sovente in ambito musicale si usa l’aggettivo commerciale con termini estremamente dispregiativi, quasi viscidi e meschini, manco si trattasse di una bella accettata ficcata tra le scapole dei poveri fans. Spesso è così. Non sempre.

“Once” del 2004 è una serata di Gala, la cerimonia di apertura delle Olimpiadi nella quale nulla, ma proprio nulla, viene lasciato al caso affinché tutto possa funzionare come un orologio svizzero condannato a morte al suo preciso e perenne ticchettio. Passando alla gigantesca casa di produzione Universal i nostri investono come mai nel passato prefiggendosi l’utopistico intento di far uscire la band dalle dimensioni elitarie e di relativa nicchia. Ci sono riusciti e non credo sia stato culo, nemmeno frutto del rincoglionimento generale, ma un risultato prevedibile per un prodotto impacchettato ad arte.

Il leader della band, il tastierista Tuomas Holopainen, si è armato di scopa di saggina per spazzare e mettere momentaneamente sotto il tappeto le atmosfere folkloristiche di inizio carriera lasciandone sparute tracce nelle etniche, ed in parte acustiche:“Creek Mary‘s Blood“ e “Koulema Tekee Taitelijian“. Brani che ci portano a fare due lunghe scampagnate tra pellirossa e natie icy lands. Non pago, sfoggia l’argenteria pesante con tinte gotiche ben sottolineate da riff mai così arcigni e quasi al limite con il thrash. Mazzate da orbi, carta vetrata su una pentola, capaci di graffiare e ferire le orecchie: ben lontane dal tipico sound “alto” delle chitarre dei dischi precedenti. Esempi lampanti di tale verve sonora sono “Dark Chest Of Wonder” e “Planet Hell“. Fuochi di paglia magistralmente scritti capaci di infiammarsi spettacolarmente per poi sfumare in un amen con il celere arrivo dei cori ariosi. Tovaglia curata con tanto di orchestra sinfonica in carne e ossa pronta a sottolineare ed evidenziare imponenti intro/outro sui quali si staglia il bel cinguettio della taurina Tarja ("The Ghost Love Score"). 10 minuti pomposi, magniloquenti, cinematografici per un kolossal trasposto in musica con crescendo che, per quanto scontato e prevedibile, non può lasciare indifferenti.
Azzanni sicuro il tuo panino, ma qualcosa inaspettato si incastra tra i molari. La techno!! Questa, lo devo ammettere, è la ciliegina sulla torta del disco. Mai me la sarei aspettato dai Nightwish, eppure in “Wish I Had An Angel” l’arrangiamento è proprio quello e, cosa più sorprendente, dà perfino dipendenza. Sto scrivendo e continuo a riascoltarla: quasi fosse una musa che mi sussurra.

“Once” è costruito in modo eccellente a partire dalla produzione sonora di rara pulizia. Il cd, come una granata, mira a colpire con una marea di schegge e l’eterogeneità del disco (con cavalcate, lenti, brani heavy metal, sinfonici e gotici) è la sua vera forza. Lo stile dei vecchi Nightwish si intravede sotto una fitta nebbia e viene estremizzato. Nel sound delle chitarre, nei duetti tra Tarja e Marko, nelle orchestrazioni imponenti. Lo spazio al lato sinfonico viene dimezzato in favore di atmosfere cupe e gotiche, cavalcando così in anticipo il trend musicale oramai in fase di decollo al momento di uscita del cd (2004). E’ insomma un gran bel dischetto da ascoltare con piacere anche a distanza di anni e il suo enorme successo farà pascolare la band tranquillamente fino alla pensione che potrà vivere di mero e tristo copia incolla.

ilfreddo

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