Nikhil Banerjee ed Anindo Chatterjee, Rama e Krishna per far scendere la pioggia del Mahar Gharana.
La musica è il veicolo, i suonatori i conducenti perchè sentendo l'esecuzione del Raga Desh si muore e si risorge.
L'alap è un umido monsone, sinuoso di suoni come che fecondano stagioni, così lunghi da fermare il tempo, incarnare qui ed ora l'eterno.
La perfezione formale della grammatica che fu del maestri Ustad Allauddin Khan, il sommo padre, "l'uomo in contatto", è passata via psiche nelle intuizioni del piccolo Nikhil, il ragazzo prodigio, più asceta che musicista, che si bruciava i calli delle dita per dodici ore al giorno, con poche pause.
Gli è stato trasferito il potere di scorrere, come un fiume, e così si spiega quella tecnica così diversa da tutti gli altri sitaristi, quasi uno sciamanico perpetrarsi di infinitesime variazioni sullo stesso tema finchè poi, davanti al pubblico svedese Anindo si unisce alla preghiera, e per i presenti è resurrezione.
Il cerchio come segno: le stagioni, la vita la morte.
Ciò che maggiormente ferisce le nostre orecchie stuprate dalla mancanza di tempo, per sentire e capire, è l'idea che esista, sepolto nei fondali della nostra psiche un segreto ancestrale: il suono della mente, come è il chikari impossibile, oltre la musica e le capacità stesse dell'uomo.
Non musica, ma religione: solo che si stenta a non credere, non è il letto di chiodi o l'uomo volante. Le tabla infiammate di Anindo suonano tre quattro versioni alla volta dei "tempo" conosciuto da chiunque in Occidente, il sitar esplode in una melodia allo stato puro, che è perfezione e divinazione per migliaia di anni. Esiste una frequenza, che si accende come le onde del sitar quando si incontrano sulla risonanza e ridono sfregandosi nell'armonia mistica: è il suono su cui sono sintonizzate tutte le anime, i miliardi di corpi del grande spirito.
La musica sacra indiana suonata a questi livelli è l'ascensore: che la leggenda possa conservarsi in eterno.
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