Nikolaj Maslov non è giovane, non è elegante, non è famoso. Non è un disegnatore professionista, non è un illustratore alla moda, non è una star.
Nikolaj Maslov è un contadino siberiano.
Tarchiato, timido, sui quarantacinque anni, si presenta un giorno del 2000 alla porta della libreria-casa editrice francese Pangloss con un blocco di disegni fatti a matita. Finge di sfogliare libri per un'ora prima di trovare il coraggio di presentarsi.
I suoi disegni sono notevoli, ma lui non cerca complimenti. Vuole essere finanziato, per poter lasciare il lavoro di guardiano di notte e dedicarsi a finire la sua opera. Per una piccola casa editrice, una richiesta del genere equivale a una barzelletta, ma dopo aver visto i disegni il proprietario, Emmanuel Carrere, acconsente.
Nasce così la graphic novel "Siberia", uscita nel 2004 e diventata un piccolo oggetto di culto per gli appassionati di quella "terra incognita" a metà tra illustrazione, romanzo e fumetto frequentata anche da gente come il tetro Zezelj o il nostro Gipì (per citare solo i primi che mi vengono in mente).
"Siberia" racconta ciò che il suo autore conosce meglio: se stesso e il suo paese. La sua infanzia nella regione più fredda e desolata della Russia, il servizio militare, la storia della sua vita dai grigi e poverissimi anni '70 sovietici all'avvento della sbrilluccicante ma altrettanto cupa epoca postcomunista.
Le pagine, ampie distese bianche sporcate di grigio, raccontano con testi scarni e pesanti un'esistenza annichilita. Prima dall'ottusità del Partito e dalla vodka, poi dal culto del denaro facile e - ancora - dalla vodka. Proprio la vodka, insieme al gelo dei grandi spazi siberiani e all'angoscia quotidiana di un popolo senza speranza, è la vera protagonista del libro. Oppio per un popolo le cui passioni sembrano cancellate da una passività e da una rassegnazione senza freni.
"Siberia" racconta del cibo abbondante disegnato sui manifesti di propaganda, ma assente dalle tavole dei cittadini.
Dei negozi di alimentari con code di chilometri per recuperare, quasi sempre, soltanto vodka.
Della corruzione di un sistema che imponeva uguaglianza per poi vivere di favoritismi.
Di un mondo di carri armati e filo spinato, di ossa che spuntano continuamente dal fango di villaggi abbandonati.
Più di tanti saggi, documentari e romanzi storici "Siberia" riesce a raccontare l'assurdità del regime sovietico, il divieto di pensare, la povertà assoluta ma impossibile da dichiarare, pena l'accusa di disfattismo e il carcere. Ma Nikolaj Maslov non fa sconti nemmeno all'epoca successiva alla caduta del regime: i villaggi si spopolano e vanno in rovina, il nuovo potere è violento e corrotto come il precedente senza provare nemmeno più a fabbricare illusioni. L'unica fuga per i giovani russi rimane la stessa degli anni di Breznev: bere fino a strisciare per terra.
I personaggi di Maslov sono marionette sgraziate e confuse, a volte capaci di lampi di umanità, a volte crudeli, quasi sempre ubriache e in balia di una sorta di fatalismo cronico. L'autore non sembra voler denunciare niente in particolare, ma solo descrivere ciò che vede, con oggettività feroce. Lo aiuta l'intensità delle immagini che riesce a creare, il talento per le inquadrature, la capacità di trascinare il lettore in un ritmo gelido e ipnotico.
L'unica luce sul ghiaccio imbrattato di nafta di queste pagine è l'amore per l'arte e per il disegno. Un amore che è diventato, per l'autore, unica ragione di vita, cura e salvezza dall'alcool e dal vuoto interiore. Armato solo di un lapis e del suo dono, Maslov è riuscito a raccontare la sua storia e quella del suo popolo con grande compassione (in senso letterale) ma senza cadere mai, nemmeno per un istante, nella retorica, nell'autocompatimento, nel pietismo.
Chapeau.
Carico i commenti... con calma