Cos’è di preciso una Diva? Cosa deve avere di speciale una donna per essere considerata tale? Le risposte a queste domande sono assolutamente soggettive e molteplici; l’immagine più immediata evocata da questo termine ci riporta indietro nel tempo, ai film in bianco e nero delle varie Greta Garbo, Marlene Dietrich, Judy Garland e Rita Hayworth, statuarie figure di assoluta bellezza e carisma; andando avanti nel tempo questo standard ha subito una pecoreccia involuzione che in ambito strettamente musicale ha dato origine a tragici epigoni come Madonna, Kylie Minogue, Lady Gaga e via discorrendo, ma non solo: la salvezza del divismo più autentico sta nell’evoluzione “deviata”, nel rovesciamento degli stilemi estetici più canonici della diva tradizionale. Qualche buontempone potrà scorgere la pingue sagoma di Beth Ditto da questo enunciato, ma ovviamente non è a lei che mi riferisco bensì a Nina Hagen, la meravigliosa ed unica Erste Frau della Neue Deutsche Welle.

 Quello che ad una diva non manca mai è una personalità fortissima, magnetica, capace di bucare lo schermo, un po’ di eccentricità e un talento cristallino ed indiscutibile, diva non si diventa, è qualcosa insito in una persona, nel suo DNA, e Nina Hagen con questo dono ci è nata. Nata  a Berlino Est da genitori artisti, il suo talento si manifestò già in età verdissima esplodendo definitivamente con un’apparentemente innocua canzonetta, “Du Hast Den Farbfilm Vergessen”, in cui stigmatizzava in modo abbastanza diretto l’apatia ed il grigiore artistico e sociale che affiggevano il regime di Erich Honecker. La DDR non era ancora matura per un’artista di quel tipo e di tale caratura, e così Nina emigrò nella RFT, dove finalmente trovò il suo eldorado: una scena punk in pieno fermento, in cui Nina fece irruzione con tutto il suo furore artistico, conquistando fin da subito celebrità, riconoscimenti e lo status di trasgressiva, imprevedibile, carismatica e stravagante performer, un talento originale e irreplicabile, lontano anni luce dalla squallida monotonia e pseudo anticonformismo da MTV preconfezionato delle cosiddette “riot girls”, o ancora più beceramente, “grrls”.

 Vennero gli anni ’80 e il punk, grazie anche al suo apporto, sublimò nella Neue Deutsche Welle, Nina fu una delle principali artefici dello sdoganamento di questa corrente come fenomeno di massa grazie soprattutto ad un album pionieristico come “Unbehagen” del 1979, traducibile come fastidio o irritazione, titolo quanto mai esemplificativo. L’irritazione di Nina è rivolta al conformismo, ai luoghi comuni, alla stupidità ed alla superficialità. È un album breve, nervoso, incisivo, vibrante, dominato da un fenomeno che ama giocare con al propria voce, distruggerla, caricaturizzarla, sperimentare e mischiare tra loro i più disparati stili vocali, una schizoide controparte femminile del Tom Waits più stralunato. Album tuttosommato omogeneo e compatto come un monolite, “Unbehagen” è ottimamente rappresentato dal suo brano simbolo, “African Reggae”, ritmi ipnotici, un basso cadenzato e vagamente catalettico, gli arabeschi vocali di una Hagen più che mai sciamanica che mischia il reggae con lo yodel, metaforicamente sfottendo l’esotismo ignorante da salotto e la mercificazione delle culture. Nina non le manda a dire a nessuno incedendo veloce ed implacabile da una bordata all’altra, sostenuta da una straordinaria band di supporto. Chitarre dense e graffianti, bassi superlativi, geniali trovate elettroniche, momenti di puro teatro, il viaggio trova i suoi apici nell’epico incedere di “Alptraum”, blues rock geneticamente modificato ed elevato ad una nuova dimensione, il nevrotico ed esaltante girotondo di “Wir Leben Immer… Noch” e l’imprevedibile e teatrale mutevolezza di “Hermann Hiess Er”, arrivando al limite con gli squittii e le strida dell’animalesca “Wau Wau”, dominata da un martellante e ciclico riff di chitarra.

 Viaggia invece su tonalità leggermente più canoniche “Auf’m Rummel”, relativamente più vicina ad un glam rock classico, mentre a spezzare il ritmo serrato di “Unbehagen” ci pensano l’escursione beat di una vezzosa “Wenn Ich Ein Junge Wer” e la conclusiva “Fall In Love Mit Mir”, briosa e spensierata, che sarebbe perfetta come sigla di Happy Days , momenti di puro divertimento ed entertainment come solo una vera Diva sa offrire. Disco di grande influenza e portata storia, “Unbehagen” lancia definitivamente in orbita la stella di Nina Hagen, una delle voci femminili più belle della storia, il coraggio di andare oltre, il fascino di una bellezza non conforme, libera, selvaggia, assoluta, bordate elettriche ed elettroniche, sfuriate vocali come antidoto al grigiore ed alla monotonia, musica che sperimenta con piglio sanguigno, verace, senza mai indulgere a sterili esercizi di stile, una delle evoluzioni più estreme del pop, tutto questo e molto altro ancora è Nina Hagen.

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