The importance of being Nina Hagen: curiosità, stravaganze ed altre meravigliose anomalie, capitolo III.
"You can be anything you want to be, just turn yourself into anything you think that you could ever be, be free with your tempo, be free, be free, surrender your ego, be free to yourself".
Perchè mai, chiederete voi, aprire una recensione su Nina Hagen citando "Innuendo"? Semplice, perchè in questo verso c'è tutta la mentalità, lo spirito che ha portato alla realizzazione di questo album. Coraggio, libertà e puntiglio: se ben ricordate Nina Hagen è quella che in "African Reggae" mandava neanche troppo velatamente a quel paese la globalizzazione coatta e la mercificazione delle culture e, come sempre coerente e fedele ai propri principi, lei si immerge completamente nel contesto che vuole affrontare, recidendo ogni estraneità, tagliando per un attimo i ponti con il suo passato. Fin dai tempi del pubblicizzatissimo viaggio dei Beatles le sonorità del Subcontinente sono stati un'ispirazione da cui molti hanno attinto, ma Nina è diversa, è più radicale nelle sue scelte, arrivando a produrre un album di canti religiosi indù, interamente cantato in sanscrito, praticamente senza nessuna concessione "occidentale". In pratica mette la sua persona al servizio della musica e non viceversa, "surrender your ego", appunto.
"Om Namah Shivay" arriva nel 1999, interrompendo un periodo di silenzio seguito alla pubblicazione del punkeggiante e non particolarmente riuscito "FreuD euch"/"Bee Happy", le canzoni, anche se di durata media standard sui 4/5 minuti, non seguono il classico schema strofa-ritornello ma sono dei corali di poche frasi continuamente ripetute; una lingua affascinante ed estremamente musicale aiuta moltissimo l'ascoltatore ad immedesimarsi in questi scenari insoliti per noi occidentali e nel complesso l'album si rivela essere un ascolto sorprendentemente semplice ed immediato. "Hare Krshna Hare Rama" ne è l'esempio perfetto, in questo armonico contrappunto di voci maschili e femminili Nina Hagen si unisce al coro, ne è una componente integrante, che spicca, e non potrebbe essere altrimenti, ma non prevarica le altre. "Om Namah Shivay" attraversa diversi scenari emotivi e stati d'animo, sembra tutto fuorchè una "messa cantata", ad esempio uno degli episodi più appariscenti dell'opera, "He Shiva Shankara!", richiama alla mente atmosfere e scenari da "summer of '68", con quell'accenno di chitarra elettrica iniziale ed in suo andamento ipnotico e sensuale scandito da percussioni tribali, mentre "Jai Mata Kali Jai Mata Durge!" suona come una palese conferma per tutti quelli che inconsciamente hanno sempre saputo che Nina Hagen altro non è che un avatar della dea Kali; un cerimoniale solenne, ieratico ed oscuro, che contrasta con il dolcissimo e cullante salmodiare di "Shri Siddha Siddeshvari Mata Haidhakandeshvariji Mata".
Attraversando momenti di raccoglimento e contemplazione come "Om Namah Shivay!" e la suggestiva "Oh Mata Haidhakandeshvare!" e brevi mantra che separano gli episodi cardine dell'album cementandone la coesione e creando un continuum di suoni ed atmosfere il rituale giunge infine al suo climax emotivo con "Sankirtana!", che era già apparsa come "Omhaidakhandi" in "Revolution Ballroom", ma in questa versione più corale, inserita nel suo naturale contesto di appartenenza l'esito è ben più solenne, un intreccio di voci che incedono con epicità, ricordando vagamente, un po' per la musicalità, un po' anche per il suono prettamente fonetico, un canto popolare del sud Italia, pugliese o calabrese per la precisione. La distesa e consolatoria "Hara Hara Amarnatha Gange" chiude come meglio non si poteva questa parentesi insolita ed emblematica, un percorso che nessun artista pop occidentale più o meno mainstream ha mai voluto o potuto intraprendere, album per nulla difficile e ricercato anzi, semplicissimo e quasi ripetitivo nelle sue strutture, autenticamente popolare come lo è sempre stata Nina stessa, a dispetto delle apparenze, in grado di mettere a frutto tutto il suo talento ed ancora capace di sorprendere anche se l'ispirazione personale inizia la sua parabola discendente. anche se ancora capace di tirare fuori dei dischi interessanti come "Return Of The Mother".
Giudicando dalle apparenze un'operazione come questa potrebbe sembrare l'ennesima trovata astrusa di un'eccentrica che ha visto giorni migliori, ma non c'è una valutazione più stupida e superficiale di questa: "Om Namah Shivay" è esattamente l'opposto, un'opera umile e sincera, che tra le altre cose non ha neanche doppi fini predicatori e propagandistici, è semplicemente immedesimazione e rappresentazione, messa in scena con carisma e convinzione; un disco che vale la pena di ascoltare secondo me, e nonostante tutto un disco nel più puro stile Nina Hagen che, ricordiamolo ancora, non è un sound ma un ideale.
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