The importance of being Nina Hagen: curiosità, stravaganze ed altre meravigliose anomalie, capitolo II.
La gloriosa Neue Deutsche Welle è stata, così come la summer of love, il grunge, la NWOBHM e tante altre correnti musicali, un fenomeno circoscritto nel tempo che, date le sue caratteristiche, offriva innumerevoli possibili evoluzioni, reinterpretazioni, sviluppi creativi. Catharina Hagen, uno dei, anzi, il volto iconico per eccellenza della NDW non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di esplorare nuovi stili, proprio lei, uno spirito libero, un'istriona, una voce in grado di poter interpretare praticamente qualunque cosa rendendola speciale. Con "Street" (1991) si butta a capofitto su sonorità rap/funky, esperimento interessante ma purtroppo non pienamente all'altezza delle sue potenzialità, un paio d'anni dopo tocca a "Revolution Ballroom", un gran pastrocchio di sonorità disomogenee, spudoratamente canzonettaro, pacchiano fin dalla copertina, divertentissimo, sexy ed irresistibile. Yes, Nina can.
Nina può rendere credibile qualcosa che in mano a chiunque altro risulterebbe nient'altro che una baracconata senza costrutto, la sua adattabilità, la sua voce che in un modo o nell'altro trova sempre un modo di lasciarti a bocca aperta, una presenza scenica straripante, una personalità più unica che rara. "Revolution Ballroom" è uno schianto di disco perchè qui Nina se ne strafrega di tutto e di tutti, canta quello che le va di cantare infischiandosene di qualsiasi clichè stilistico o ideologico, se ne frega altamente di critici ed esperti che non lo riterranno mai all'altezza di "Unbehagen" o "NunSexMonkRock", ma lei è Nina Hagen e loro nun so' un cazzo. Lei non è una mummia da esporre in una teca, non è il feticcio di un determinato momento storico, è un'Artista che non si è mai posta limiti, una Popstar che non scende a compromessi, di nessun tipo, ed allora tutti in pista con Nina, che saprà deliziarci con la sua adorabile imprevedibilità. Tanto per rompere il ghiaccio, per mantenere un vago legame con il passato si parte con lo scenografico e graffiante elettro-rock di "So Bad"; si nota immediatamente che il cantato non è più sopra le righe come nei suoi anni più ruggenti, ma con una voce del genere non serve ripetere continuamente gli stessi numeri da circo che con il passare degli anni perdono inevitabilmente mordente. E così Nina mette a frutto la potenza delle sue corde vocali ed il suo immutato carisma interpretativo in altri modi, felpata e disinvolta nell'honky tonk malandrino di "Right On Time", in cui si improvvisa reginetta dell'outlaw country accompagnata da slide guitar e fisarmonica, diva blues-soul androgina ,esplosiva e sensuale che graffia e soffia sui fraseggi di "I'm Gonna Live The Life", fumosa ed ammiccante, poi urlatrice e quindi rapper dilettante in "Berlin", che affina e migliora il discorso intrapreso con l'album precedente, accompagnando il tutto con un bel sax e basso funky.
"Revolution Ballroom" è prima di ogni altra cosa colore e divertimento, che abbondano particolarmente nella deliziosa marcetta gypsy-ska di "Pollution Pirates" e nel tripudio disco-gay di "Pillow Talk", ma c'è anche un nuovo elemento che caratterizza l'album in maniera significativa; la fascinazione per l'induismo, la spiritualità e la musica del subcontinente indiano. Le prime tracce di questa insolita passione risalgono ad un po' di tempo prima, precisamente a "Cosma Shiva" del 1982, ma qui Nina comincia a fare sul serio aprendosi una nuova strada, che si insinua nel brioso pop rock della titletrack e nelle armonie di una sensualissima "King Of Hearts", una canzone che ribalta il clichè attrazione da uomo a donna, comunissimo a differenza del suo opposto, dato che in una cultura tendenzialmente maschilista l'uomo viene visto come "dominatore" piuttosto che come oggetto del desiderio fisico e spirituale in maniera così chiara, senza giri di parole, ovviamente non per la Diva Nina. "L'Amore" è sorprendentemente cantata in italiano, e anche se il testo lascia parecchio a desiderare, "amore di mente, amore di parole, viviamocene uno solamente, l'amore che è nel cuore, amore capriccioso, amore clandestino, viviamocene uno solamente, l'amore del divino", Nina riesce comunque a fare la sua porca figura, come sempre, ed al resto ci pensa una pastosa chitarra blues, la seconda parte della canzone, cantata in sanscrito, è affascinante, onirica, un breve viaggio in suoni ed atmosfere tanto lontane da quelle della sua Berlino; ed è proprio questo nuovo orizzonte hageniano a suggellare "Revolution Ballroom" con il trascinante corale di "Omhaidakhandi", trasposizione di un cantico religioso indù.
Di questa "nuova" Nina tuttavia ci sarà modo di parlare in maniera molto più approfondita nel capitolo III, chi ha una buona conoscenza della sua discografia avrà già capito dove voglio andare a parare, e tornando a "Revolution Ballroom" che dire, "eppur si muove" mi sembra la metafora più azzeccata per descriverlo; scoordinato, incoerente, pasticcione, eppure funziona benissimo, a quanto pare con Nina non valgono le regoli generali per qualsiasi altro artista. Dal punto di vista più strettamente pop è forse l'album migliore della sua carriera nonchè forse il suo ultimo disco di inediti completamente riuscito, diciamo che sta a Nina più o meno come "7-Tease" sta a Donovan: un album leggero e pieno di colori, certamente non innovativo ma impeccabile ed efficacissimo; oh, io gli do' un bel cinque stelle di valutazione, so perfettamente che 'sto disco non è "Unbehagen" e non le vale tutte ma per quell'imponderabile fattore X, la simpatia, l'ammirazione, l'affetto, la rava e la fava posso tranquillamente seguire il cuore ed ignorare la ragione che mi consiglierebbe di togliere una stellina, e dopotutto per come la vedo io valutare Nina Hagen con i parametri della logica e della ragione vuol dire fraintenderla completamente.
Carico i commenti... con calma