Manco a farlo apposta Vic. Dal giorno in cui mi regalarono “Appetite For Destruction” per il mio decimo compleanno, ho dato via solo tre dischi. Uno di questi tre era “Mellon Collie And Infinite Sadness” degli Smashing Pumpkins, e dopo me ne sono pure pentito. Errori di un adolescente. Più tardi mi liberai di “Insomniac” dei Green Day, e forse feci una fesseria meno grave. Premetto, ancora, che sono fermamente convinto che non esista al mondo una sola verità, ma tante quante sono i nostri punti di vista (che ne costituiscono bensì il presupposto, non l’antitesi). Ciò detto posso affermare con orgoglio che l’unico defenestramento di cui vado veramente fiero, fu quello di “The Downward Spiral”. E non mi concederò neanche la presunzione di mettermi a giudicare a quale tipologia artistica questa informe accozzaglia di rumori misti a suoni possa appartenere, certo è che non andrebbe censita tra i lavori di un musicista. Robaccia di tale specie, in cui si spaccia la tecnologia per estro, il fracasso per suono e la propria nevrosi per ispirazione, è proprio quella tipologia di lavori tanto cara alle majors, che così possono celebrare il primo tossico disadattato come novello Mozart del noise. Attenzione però, il soggetto di turno cui tocca il ruolo di salire sul Golgotha della celebrità deve essere completamente incapace dal punto di vista musicale, altrimenti si rischia che un domani si evolva, e possa cominciare a ribellarsi ai dettami dei produttori.
Col buon Reznor certo, andarono sul sicuro.
Questi nuovi artisti del ventunesimo secolo vanno scelti totalmente incapaci insomma, meglio ancora se montati. Quasi certamente il buon Reznor, quando scrisse il testo di “Piggy”, stava pensando a qualche discorso fatto con qualche groupie la sera prima sotto l’effetto della coca. Ma, attenzione, mentre Izzy Stradlin’ queste cose te le scriveva in slang losangeliano (cioè la propria lingua madre), in questo brano la propria vita fatta di marchette e presunzione viene spacciata per genio d’avanguardia. Dove sta l’arte sennò? Che poi il pezzo sia davvero inascoltabile è un altro paio di maniche, saranno fatti di chi abbocca al trucco propinarselo quel migliaio di volte nel tentativo (vano) di farselo piacere. Come? “Heresy” ci racconta della detronizzazione di Dio in funzione della caduta del regno della morale? Questo non è Trent Reznor, è Friedrich Nietzsce. Con la doverosa precisazione che il buon Trent sta alla filosofia come i Motley Crue stanno alla morale cristiana (almeno loro si, l’hanno dileggiata a dovere). Quest’album, di filosofico, ha solo la dottrina del profitto delle baronie discografiche che l’hanno pubblicato. Se volete avere un saggio di perfetta tecnica dionisiaca nietzsciana, andatevi a comprare “The Sound Of Perseverance” del fu Chuck Schuldiner (morto di tumore al cervello a soli trent’anni, perché il sistema americano riempie di soldi mostri di demenza come Reznor ma non prevede la sanità pubblica). Se volete ascoltare cosa è diventata, oggi, la “volontà di potenza” di wagneriana ispirazione, andatevi a comprare “Heaven And Hell” dei Sabbath. Mentre scrivo queste righe, sto riascoltando con pazienza questo obbrobrio di cacofonie sconclusionate, sforzandomi di trovarci uno spunto valevole di menzione, giuro sto facendo fatica a riascoltarlo tutto... Si salva qualcosa di "Reptile", che almeno ripetendo lo stesso loop cinquanta volte mi consente di capire il tempo sul metronomo del pezzo. Alcuni effetti di synth nell’intro della stessa “Heresy”, ma il ritornello è veramente insopportabile. Forse, mi dico, dovrei provare anch’io sotto l’effetto di sostanze stupefacenti... Poi ragiono e penso che è inutile sprecare danaro per tentare di interpretare rumori a casaccio quando potrei regalarmi un trip autentico rispolverando, chessò, un “Ummagumma” dei ‘Floyd.
No, ho deciso, niente droghe, prima di reinserirlo nel lettore mi do una botta in testa. E così non se ne parla più.
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