Esiste, soprattutto nell'ambito della musica classica ma non solo, il concetto di musica "assoluta". Potremmo provare a semplificare dicendo che la musica, di qualsiasi genere o epoca, possiede delle caratteristiche intrinseche, delle strutture interne che, come una formula matematica, riescono a fare in modo che quello che io sono solito chiamare contenitore e contenuto possano fondersi. In questo modo nasce una composizione di musica assoluta; cioè una musica che riesce a superare il limite rappresentato da quello che originariamente erano le intenzioni espressive dello stesso artista che l'ha creata.
Questa introduzione mi è sembrata il modo migliore per parlare di un opera di un gruppo come i Nine Inch Nails, incontrastata icona della musica Industrial.
Al di la dell'indiscussa capacità di Trent Reznor di "tradurre" il linguaggio tipico dell'Industrial in qualcosa di più accessibile per ampie fasce di ascoltatori, principalmente avvicinandosi a sonorità più propriamente rock, il merito infinitamente più grande della sua opera consiste nella creazione di strutture musicali possentemente "assolute".
E' pur vero che un disco come "Year Zero" è un opera scopertamente politica e diretta, rispetto certamente a "The Fragile", dove Reznor metteva a nudo il suo lato più intimo e personale. Ma il grande pregio di questa realizzazione, a mio avviso sottovalutata, è quello di superare appunto i limiti di ciò che viene direttamente dichiarato nei suoni e nei testi dei singoli brani.
E' del tutto superfluo sapere ad esempio che "The Good Soldier" si riferisce a qualcosa che ha a che fare con le guerre, e ancor meno che si tratta di quelle combattute sotto la bandiera a stelle e strisce: per la scioltezza ammirabile, la tensione trattenuta a stento, il pezzo è un gioiello spirituale che potrebbe parlare di qualunque cosa. Quello che percepiamo non è più allora una banale invettiva contro la guerra in se, ma addirittura un "rimpianto" per le guerre di una volta, quando non c'era la meschinità di combatterle usando aerei senza pilota; ecco, questa è la "profondità" di un pezzo di musica assoluta. Di non costringerci cioè ad andare in una sola direzione nella percezione che abbiamo di un brano, ma di lasciare aperta la nostra coscienza alla ricezione di una verità più vasta. La pressante batteria con cui si apre "Hyperpower!" e l'intero album, è semplicemente e assolutamente un tumulto operaio di fronte all'avanzare della tecnologia nelle fabbriche, magari agli inizi del 900'. E' questo il punto: non importa se sulla copertina dell'album compare un alieno. L'assolutezza - e l'oggettività - di questa musica è tale da condurre l'ascoltatore verso un interpretazione più vasta di ciò che gli verrebbe suggerito in apparenza. Nulla ci vieta di considerare i rumori meccanici che fanno da sottofondo a "Vessel" un' allusione ai macchinari di una fabbrica degli anni settanta, dove il lavoro aveva ancora una dignità. O ancora: perché autocostringersi a recepire "Capital G" magari come una scontata denuncia dell'alienazione consumistica attuale? Può significare un infinità di altre cose. Mentre "God Given" ci riporta ai Nine Inch Nails più puri, "The Greater Good" è l'emblema di quanto di più alienante e grottesco ci sia nella globalizzazione: atmosfera allucinata con un sottofondo vagamente tribale, quasi l'immagine del contrasto tra l'Africa preistorica e l'era dei computer. Qualcosa di simile anche in "Another Version Of The Truth" dove però quel piano etereo ci fa intravedere la luce in fondo al tunnel, ci dice che, come in "Blade runner", alla fine la pioggia cesserà e il sole riapparirà a illuminare le nostre vite... Sensazione del tutto suggellata da "Zero Sum" che chiude l'opera quasi con un senso di redenzione.
Alla fine, concludendo, siamo di fronte ad un ottimo esempio di musica assoluta. Un opera che dimostra di possedere la capacità di trascendere l'etichetta, in questo caso l'Industrial, con la quale viene comunque classificata. E' l'essenza della grande musica, di ogni tempo e di ogni genere.
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