Finalmente ho trovato il degno successore di The Downward Spiral, discone mondiale di mr Reznor oltre alla sua apoteosi artistica, è importante cercare di superarlo? Per niente, molto più ragionevole continuare a realizzare semplicemente bei dischi, che possibilmente siano in grado di reggersi da soli. Cosa che per me non è accaduta - sono pronto per gli insulti - con The Fragile, una mare-magnum di idee e contenuti degno di grandissimo rispetto, ma troppo simile a TDS: quel dialogo lì è già stato fatto, e alla sua massima espressione, rischi la ridondanza. Ancora meno colpito da With Teeth, che salterò con un agile carpiato, ma non avevo fatto i conti con Year Zero, album del 2007 che mi ha fatto inchiodare i piedi in terra e alzare le antenne. Qui sì che si ragiona. In modo analogo a Spiral, si tratta di un concept album, stavolta però basato su un mondo distopico futuro non troppo lontano, ricco di testi politici oscuri e affascinanti. Sì ok, ma il disco com'è? Bello, maledettamente bello.
Sembra che Trent Reznor, sono aperto a dibattiti con esperti dei NIN, abbia voluto riprendere ed espandere le architetture della sua bellissima Closer, ovvero quelle di una elettronica dark industrial, comunque fortemente sui generis, con occhio attento al dancefloor, la pop music smaltata e un po' di trendy. Un equilibrio quasi impossibile, che farebbe gola a tanti, e che sembra un po' il leitmotiv di questo Year Zero. Come risultante il disco è sorprendentemente accessibile, quasi tutti i brani hanno un refrain abbastanza definito e dotato di una sufficiente dose catchy, questo si sente particolarmente in canzoni come The Good Soldier, dove domina anche una notevole ricerca melodica, Capital G, che scimmiotta un po' troppo Marylin Manson sia nell'andamento marziale che urletti di sottofondo, e My Violent Heart, dove il musicista scopre troppo le carte, esponendosi a una certa dose di pacchianeria. Vessel invece centra un refrain geniale, che mi ha ricordato vagamente Whatever it is di Mauro Pagani (la colonna sonora di Nirvana di Salvatores), sicuramente una coincidenza, ma chissà, considerando che Reznor collabora anche con gli italiani (Cortini), tutto può essere.
Continuando la carrellata di un disco anche piuttosto lunghetto, voglio citare la poppissima God Given, non solo per il testo provocatorio (fondamentalismo?), ma per l'arrangiamento veramente fantastico, un'elettronica caleidoscopica ma accessibile, con splendido groove e la drum machine che ti fa battere il piedino con gioia. Anche qui aspettatevi un ritornello molto catchy, introdotto ironicamente dallo stesso Reznor con l'equivalente di un "tutti in pista!". La parte dell'arrangiamento l'ho apprezzata davvero molto, tanto che avrei gradito un approfondimento proprio della parte strumentale. Che devo dire? Bravo il mio ragazzo ribelle e geniale, anche se non più tanto giovane. Forse è questa una delle forze propulsive del disco, Year Zero esplora territori simili a TDS, ma è cambiato quasi tutto, non c'è più la rabbia giovanile, l'instabilità, l'angoscia, tutto sostituito da una impassibilità chirurgica e controllata nel guardare i fatti da una posizione esterna, aliena. In mezzo a tutti questi piacevolissimi brani troviamo varie sperimentazioni elettroniche sicuramente scaturite dall'ultima dav sul laptop di Reznor, ma i risultati sono ben superiori a tanti giovinastri della scena: belle la distorsioni di The Beginning of the End (ma la base è My Sharona?) e nei minuti finali di The Great Destroyer. Da evidenziare comunque la maniacalità nella scelta dei suoni e la precisione nel piazzarli comunicando una precisa coerenza stilistica, in questo caso il tema sono sirene distorte in lontananza (di guerra?). Tutti i brani scorrono che è un piacere, e nel finale, in puro stile Nine Inch Nails, assistiamo al sopravvento di atmosfere maggiormente strumental-filmiche, ma questo non imepdisce a Reznor di infilare due grandissimi pezzi, In This Twilight e Zero Sum, quest'ultima forse progenitrice del lavoro che sarà poi fatto per The Social Network, comunque bella, e grande refrain.
Insomma, davvero un grandissimo disco questo Year Zero, diffidate dalle recensioni che lo stroncano, ma anche delle sufficienze, e non cercate un nuovo Spiral, ma piuttosto un rock-pop-industrial da ascolto (sì, le etichette fanno schifo), in cravatta, mentre ripensate alle vostre scorribande giovanili.
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