Se questa band fosse riuscita ad ottenere un successo maggiore di quello realmente ottenuto, chissà quale nome avrebbero scelto Kobain e soci per il proprio gruppo. La storia non saprà mai darci una risposta concreta, ma sappiate che prima dell'exploit della band grunge esisteva un altro gruppo con lo stesso nome; misconosciuti qui in Italia, i Nirvana "originali" hanno prodotto una buona dose di album a cavallo degli anni ‘60 e gli anni '70, collezionando qualche discreto risultato di vendite ma, soprattutto, numerosi consensi da parte della critica specializzata.
Il nucleo dei Nirvana era prevalentemente formato dall'irlandese Patrick Campbell-Lyons e dal compositore greco Alex Spyropoulos, che di album in album si avvalevano di diverse collaborazioni esterne per dar vita ad album sempre più variegati, iniziando la serie con uno tra i primi concept album della storia del rock, "The Story of Simon Simopath" (1967, Island), per poi proseguire con "The Existence of Chance Is Everything and Nothing While the Greatest Achievement Is the Living of Life, and so Say All of Us" (1968, Island). Entrambi i lavori erano sostanzialmente contaminati dalle sonorità orchestrali lanciate dai Moody Blues e dai gruppi dell'epoca, con qualche sprizzata psichedelica ben evidente nel secondo lavoro, ma è con il terzo album che la band compie il definitivo salto di qualità, peccato che ci vorranno anni per divenire testimoni di tale progetto.
"To Markos III", realizzato nel 1969 e dedicato a un fantomatico zio di Spyropoulos che finanziò la band per l'LP, vedrà luce soltanto svariati anni più tardi con diverse nomenclature (Black Flower, Dedicated To Markos III e, per l'appunto, To Markos III), tutto a causa del fallimento della Metromedia, la casa discografica che avrebbe dovuto pubblicare l'album: le copie distribuite furono talmente esigue da far sprofondare To Markos III nel totale anonimato, ma il tempo è galantuomo, e seppur il lavoro risulti ancora piuttosto oscuro agli stessi fan dei Nirvana (UK) (terminologia universalmente utilizzata per confonderli da quelli di Cobain e soci), adesso siamo in grado di ascoltarlo in tutta la sua bellezza.
Seppur il sound appaia smaccatamente troppo vicino a quello prodotto dai Moody Blues, l'arrangiamento orchestrale è eccelso: ogni strumento è al suo posto, e le composizioni risultano tutte piuttosto ispirate e gradevoli; purtroppo è evidente la poca omogeneità che traspare da "To Markos III", e i motivi di tale frammentarietà vanno ricercati certamente nella difficile gestazione dell'LP, con diversi turnisti situati in diversi brani. Se "The Story Of Simon Simopath" poteva contare su una trama ben definita e "All Of Us" disponeva di diverse contaminazioni tribali ed indiane, "To Markos III" mostra un sound certamente più maturo ma delle tematiche prevalentemente più ingenue, presentando principalmente storie amorose e dediche piccanti: da annotare, riguardo quest'ultimo versante, "Christopher Lucifer", dedicata a Chris Blackwell, storico produttore della Island che collaborò con la band per i primi due album ma che rifiutò di dare il suo apporto per "To Markos III", definito da lui stesso poco idoneo e comparandolo, in senso dispregiativo, al film del 1966 "A Man And A Woman". Le potenziali hit ci sono tutte, da "The World Is Cold Without You" all'americaneggiante "Illinois", dalla psichedelica "Black Flower" (che inizialmente doveva rappresentare il titolo dell'album) alla malinconica "I Talk To My Room", un dialogo immaginario fatto di ricordi e brevi immagini. "To Markos III", inserito generalmente nel filone del Progressive Rock, è in realtà un insieme di semplici canzoni sullo stile dei Moody Blues e dei The Beatles, ma per ogni album che si rispetta, c'è l'eccezione che fa la regola: la valutazione dell'album subisce una brusca impennata grazie alla "Love Suite", una tra le canzoni più famose della band insieme a "Wings Of Love" e "Pentecoste Hotel"; il brano, che per l'occasione vede alla voce anche Leslie Duncan, presenta una struttura in parallelo, dove il mondo femminile e quello maschile si confrontano per cercare di spiegare le follie e le problematiche dell'amore, il tutto supportato dal solito, impeccabile accompagnamento orchestrale. La lunghezza del brano e la struttura ricordano quindi maggiormente le composizioni progressive che quelle ordinarie dell'intero LP, rendendo "Love Suite" un classico mancato.
Tirando le somme, nonostante l'evidente frammentarietà del progetto, "To Markos III" è un album orecchiabile e spensierato, che nulla ha da invidiare ai giganti dell'epoca: una gemma sommersa certamente da riscoprire, ma che non ha niente a che vedere con i Nirvana di Cobain.
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