Come il preludio alla vita, un protettivo tunnel spazio-temporale che ci separa, cioè, dal contatto con le asperità dell'esistenza, la complessità del mondo e le contraddizioni; ciò che si colloca in un momento antecedente (quasi) senza tempo e luogo, senza sollecitazioni in una dimensione in cui tutto è addolcito, bussato e quasi completamente privo di coscienza: "In Utero", appunto.
Abbastanza superfluo, a mio parere, "a leggere" il titolo fin troppo esplicito/enigmatico esplorandone il sottotraccia psicanalitico: i collegamenti con in contesto più esteso ci sono già e sono abbastanza chiari: l'estetica del "comfortably numb” di Pinkfoydiana memoria codificata al letterario dall'opera "Generation X” di D. Coupland, "a latere” rispetto ai linguaggi giovanili e musicali strutturatisi nella Scena di Seattle, in in cui, a livello di sedimento di significato rintracciabile si può cogliere l'aspirazione alle eclissi o alla cancellazione dell’ identità (“X come anonimo, inesistente… ”), nonché la risposta alle stridenti contraddizioni della vita, all'incontro/scontro con un mondo troppo complesso in cui non ci si riconosce è appunto il sonno ("dormire... morire") e la collocazione in un "altrove" non identificato ne’ rintracciabile (il deserto).
In tal senso, il titolo del terzo album inediti (escludendo la raccolta “Incestiside” ) suona più come un anelito in risonanza con la "piacevole incoscienza” di Roger Waters che non un invito a cogliere infiniti doppi sensi. sotto il profilo più strettamente musicale ha detto che i Nirvana, pur essendo "in definitiva la più grande rock-band di Seattle” (Claudio Sorge) hanno avuto il merito di proiettare il codice musicale del “grunge” e della scena di Seattle, su scala (mediaticamente e commercialmente) planetaria, essendo altri gruppi i veri "capiscuola del genere": il garage-fuzz monodimensionale dei Mudhoney e il noise-core “allargato” oltre i limiti della struttura-forma canzone dei Melvins, essendo in realtà rintracciabili in albums quali “You’re Leaving All Over Me” e “Green Mind” dei Dinosaur Jr, (estranei geograficamente a tale centro creativo) i più lontani precursori di queste musiche.
Ai Nirvana va riconosciuto il merito, in quell'amalgama di hard rock, punk e psichedelica noto come “Grunge rock”, di aver saputo fondere le inflessioni sonore del punk e la geometria strumentale dell’hard rock con una straordinaria intuizione melodica, e aver condotto il loro rock ai massimi livelli del lirismo. “In Utero” è, a suo modo una sorta di manifesto conclusivo se non dell’intera epopea grunge, perlomeno della scena di Seattle. Più oscure, dense e contorte rispetto alle musiche dell'album in cui realizzarono la perfetta sintesi comunicativa e l’immediatezza d'impatto (“Nevermind”) contrariamente a quanto si può pensare queste canzoni permettono in maniera più fluida e libera un'espressione più piena sotto il profilo narrativo e poetico delle emozioni e della visione del mondo del loro autore. "Manierista" nell'accezione più nobile e alta del termine (cioè scevra dalle connotazioni negative che hanno segnato decenni di storia delle arti figurative) quest'album mette in scena quadri esistenziali in cui analogamente al movimento citato, definito come "prefigurazione dell'ansia dell'uomo contemporaneo" ma trasposto nella dimensione sonora e vocale, la tensione espressiva tale per intensità e potenza da non essere "racchiudibile” nello spazio troppo angusto messo a disposizione dalla teatro-canzone ha come effetto i suoni opachi e contorti, le percussioni sincopate e il cantato quasi volutamente "sgraziato" che, pur nel suo lirismo ne sono secondo il mio punto di vista la perfetta trasposizione sonora.
“Heart Shaped Box”, singolo battistrada dell’album, poi, svela con l’immediatezza di sempre la poetica sottesa all’ intero lavoro, e anche quello che è il vero centro focale dell'opera: il pop. Inteso come urgenza espressiva, drammatica “messa in scena dei nodi irrisolti della vita quotidiana”, per usare le parole di Fabio de Luca, in quella sorta di "universo parallelo" che è la musica, al di là dei vari sottoinsiemi, generi e relativi linguaggi. Per riportare un altro passaggio dello stesso articolo (citato alla fine) a proposito di un gruppo della metà degli anni 60, le Ronettes e di una canzone “Be My Baby” il giornalista afferma "in quell’attimo di indugio prima del ritornello si avverte tutta l'angoscia, latente finché si vuole ma comunque tangibile che da sempre contraddistingue tutto ciò che è riconducibile al concetto del pop".
In tal senso “All Apologies” appare un anthem-ironico in cui il macro-cosmo sociale viene "preso a prestito” per rappresentare il microcosmo tipicamente adolescenziale, “Serve The Servants” suona forse come il più disincantato e lucidamente autoconsapevole degli episodi dell'opera (“la rabbia adolescenziale ha pagato bene, ora sono vecchio e stufo”) mentre è il più discusso pezzo dell'intera collezione a svelare inconsapevolmente l'intero significato dell'opera di Kurt Cobain: “Rape Me”, cioè “fammi sentire qualcosa che valga davvero la pena di essere sentito, che scuota il mio mondo dalle fondamenta, che abbia la stessa disperata sicurezza e forza del ritornello di Be my Baby” (Fabio de Luca); in questo brano, e nelle parole che ne fanno parte, possiamo ritrovare (è solo il mio punto di vista) il senso ultimo di questo “manifesto esistenziale” di Kurt Cobain: disperato ed estremo tentativo di liberazione dal dolore di interrogativi squassanti, esistenziale in quanto il microcosmo dell’immaginario adolescenziale in realtà “copre” angosce e fragilità ben più grandi e profonde, questo è l’episodio più centrale di “In Utero”. Ultima citazione, esclusivamente musicale, per “Scentless Apprentice”, ideale ponte tra le cadenze vagamente “industrial-rock” e “punk-core” di “Bleach” e la linearità espressiva di “In Bloom”, a mio parere uno dei migliori brani dell’album.
Qualcuno ha poi fatto notare che “la stessa malinconia che permeava la mente di Kurt Cobain è piuttosto simile a quella che in Italia espresse Lucio Battisti”. Mi sento (ancora nei limiti del mio punto di vista) di condividere questa posizione. Abbastanza improbabile che Dave Grohl, Kris Novoselic e Kurt Cobain abbiano mai avuto per le mani dischi come “Il Nostro Caro Angelo” o “Pensieri e Parole” … di affinità elettive, dunque si può (se si vuole) parlare, cioè casuali e non-volute, ma pur nel parallelismo assai ardito, forse accettabili. Gli elementi ci sono, e paiono rendere Battisti più vicino al leader di questo gruppo rock che passerà quasi sicuramente alla Storia della Musica tout-court che non alla malinconia a tratti disperata di Nick Drake, o alla sofisticata Poesia in musica di Van Morrison.
Al di là dei giudizi (come quello di chi scrive), di cui il tempo avrà ragione, restano indelebili le tracce lasciate dallo scorrere delle emozioni, di cui quest’opera, è assolutamente e densamente attraversata.
Riferimento: F. De Luca “Amore, Rock e Spazio dell’ Illusione”, Rumore, aprile 1996
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