Rompere con “Nevermind”. Questo è il chiodo fisso, la missione, di Cobain & Co nel post 1991. Lo fanno rabbiosamente con “Incesticide” (1992), raccolta che rispolvera la matrice punk della band, e lo ribadiscono, non senza rassegnata autoironia, in questo “In Utero” (1993). Autoironia che avrebbe assunto connotati macabri (e col senno di poi profetici) se la produzione avesse accettato il titolo originariamente proposto, ovvero “I Hate Myself And I Want To Die”...
La missione, a mio avviso, è assolutamente compiuta. Diverso, distante da Nevermind. Il sound è assolutamente più genuino, volutamente sporco. Grande merito in questo va alla band, capace di resistere alle pressioni dei manager ,che avversarono la prima realizzazione e costrinsero Cobain e Novoselic a rivedere l’intero album e addirittura la copertina (i feti disegnati da Cobain furono relegati al retro per vendere l’album in alcune catene di supermarket). I contenuti dei testi, che in “Nevermind” guardano molto alla società e al costume, sono ricchi di riferimenti autobiografici e intimistici. “Teenage angst has paid off well, now I’m bored and old" (la rabbia giovanile ha pagato bene, ora sono stanco e vecchio) è la primissima amara battuta dell’album (da “Serve The Servants”). La stessa “Pennyroyal Tea” è molto di più di quello che potrebbe sembrare. Non si parla solo di tè alla menta, vi si trova un gioco di parole degno di Cobain: da “Royal tea” a “Royalty”, inteso come percentuale sugli incassi o, ancora più chiaramente nel ritornello, “Anemic royalty”, anemica regalità. Il tema della commercializzazione della musica è presente, anche se poco evidente, nella bonus track, “Gallons Of Rubbing Alcohol Flow Through The Strip”, presentata in una nota in copertina come “un pezzo di incentivazione all’acquisto dell’album a favore del dollaro americano svalutato”. Una sottilissima ironia che nasconde il disagio di una band passata nel giro di due anni dai club di Seattle alla ribalta mondiale (e quindi alla commercializzazione) e soprattutto il disagio di un ragazzo divenuto suo malgrado icona generazionale.
Nel cuore dei fan questo album rimane alla memoria per pezzi quali “Heart-Shaped Box”, che racconta del dono (la scatola a forma di cuore piena di oggetti improbabili) col quale Courtney Love conquistò Cobain, le già citate “Serve The Servants” e “Pennyroyal Tea”, la contestatissima e incompresa “Rape Me” (Stuprami) che scatenò le ire femministe (ma per chi conosce il sottile sarcasmo di Cobain è facile intuire la provocazione lanciata dal brano), la nichilista “Dumb”, manifesto dell’alienazione, e la leggera “All Apologies”.
A mio giudizio un album ingiustamente sottovalutato, per alcuni tratti superiore a “Nevermind”. Da riscoprire.
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